Poesie sulla luna

luna

Per dare evidenza ai testi  che continuano ad arrivare sposto in primo piano il post. [E.A. 31 ag. 2013]

Dopo che Emilia Banfi ha dichiarato:”Io abito la luna” (qui)  e Giorgio Linguaglossa ha invitato a “ricominciare a scrivere poesie alla luna, parlare alla luna, diventare un po’ lunari e lunatici”, mi è stato proposto di dedicare questo post  a quanti vogliono cimentarsi sul tema. Vi pubblicherò tutte le poesie che m’invierete.  [E.A. 27 ag. 2013]

Giuseppina Di Leo
* * *
Mostrami, Luna,
il cinguettio del mattino
di aria e di luce fammi sentire
il vento sulle caviglie.
(2008)

* * *
Scende la sera
una lanterna luna
denuda il mare.
(2009)

* * *
È giunto il momento
di chiudere il cerchio
assenti dèi, solidi, comete
superi spazi vergini
sparse dal cielo acquitrinose parvenze:
una è liscia e cade
goccia a goccia nel bianco
luna sciolta orbita acqua muta
pregna la bocca chiusa
nell’altro lo sguardo schiude
parole prèmici
sub-presenze confuse.
(1997/2013)

* * *
Plenilunio in città

Come il fuoco ha il potere della mente
trascina a sé le cose
e le fa proprie in un insieme un niente,
la notte, al più, separa.
Quando s’alzano i fumi
la nausea la fuliggine la polvere
che interne alla città dimorano
si spegne come un quadro
così la luna: guardala,
sorride dentro e preziosa
si cela, sfa i vortici
e mai si offre. Quieta,
separa la medaglia:
un orribile trofeo
frammischia fumo a sangue
e alcool alla libidine
e fredda la memoria
incanutisce.
Ricordi solo paludi, Chimera.
(1994)

Emanuele Pini

splende la luna e anche

il ladro

indugia a cantare

Giorgio Linguaglossa

DUE POESIE SULLA LUNA
da «Atirev, ovvero l’anagramma della verità» (inediti 1987)

…nel folto della mia follia abitavo la luna
il castello del re agitato da spettri.
«Realtà, che parola è questa?», agitavo
lo scettro del re, il suo mantello turchino.
«Dovresti, mi dico, innumerevoli vite vivere
e dimenticarle ed affrontare il fuoco
dell’artiglieria, elidere saggezza e follia…»;
dicono i medici «che ormai Atirev è uno spirito morto,
folle da molti anni», «che la sua logorrea
è una piorrea dello spirito», «che il suo monologo
è un dialogo impossibile»;
«davvero, chiedo a Vostra Maestà, credete questo?,
che il mantello delle parole sia un ordigno
ad orologeria?, anticaglia, paccottiglia
simmetrica al tempo?, cronicario
che ho affrontato imbustato nella
divisa di un Dragone a cavallo?»; come dirlo,
ero nel folto della follia, abitavo la luna,
uno scettro nel palazzo del re,
ero un universo di universi… nel sogno chiesi
la camera del re e fui introdotto nell’alcova
e lo colpii alla gola più e più volte
con il mio stiletto appuntito, e il sangue
zampillò, schizzò sulle mie mani, sul mantello,
sullo scettro… come un plettro percorre
le corde dello strumento musicale passeggiai
sul suo petto straziato, e i ratti del buio
si accucciarono accanto al cadavere.
Sul volto del mio universo eccentrico
è trascorso il diadema del re,
lo zaffiro e il giglio ho perduto
in un pozzo, né so perché

*

..il vizio, un sottile indizio, la voce della luna.
«Tutto è stato detto, tutto è stato scritto»;
ho udito quella voce tante volte nel sonno…
ciò che è strano: attendevo i messaggi, i sistri
degli spettri, calcolavo le maree lunari gli influssi dei pianeti.
«Tutto ha un inizio, tutto ha un vizio»…
preordinavo il reato con lucida follia,
ottimizzavo il misfatto… è facile parlare agli uccelli
è facile parlare alle orchidee
è facile parlare alle candide ninfee
la loro voce è il tormento del reame…
è facile parlare ai ratti delle tenebre
è facile parlare agli uccelli…
si posano nel giardino le metastasi e le metessi
che invadono i tessuti…
osservo la regalità svanire
la demoltiplicazione delle anadiplosi…
con concupiscenza guardavo la gentile Ofelia,
con circospezione decifravo i segni del destino,
osservavo lo spettro di mio padre
svanire dietro gli spalti del castello, assistevo al
mio regno svanire…
i camerlenghi preparano l’inchiostro e la ceralacca
endiadi del sonno, precipitato di tropismi
ed io osservo il nero velluto del mio abito
l’odioso ritmico parlottio dei loro conciliaboli…
non v’è differenza con la poesia, entrambi
recano la macchia del trisma…
voi mi chiedete «cos’è il trisma?»,
«è uno spasmo dei muscoli masseteri,
disturbo della fonazione, congiuntura
dei muscoli antigravitari, irrigidimento
dei muscoli della faccia e del collo…»

Rita Simonitto

Mala luna

Mala luna che antica osservi
le pene dell’oggi perché non precipiti
a vortice sulle nostre infamie?
Perché permetti che il tuo cielo sia solcato
da ottusi ministri della morte: gli basta solo
premere un bottone, né causa o effetto
a impallidire le loro menti?
Perché non accechi la perfidia dei droni
non duole cuore se occhio non vede?

Ti accontenti, ancora, luna, dei distesi campi
su cui giaci sfinita e per cui lasci
che si gonfi il petto l’homo faber?
Oppure tronfia esclami “ecco le floride città”
sui cui tetti ami giocare a rimpiattino.
Sai bene di che ossa e sangue sono impastate.

Mala luna, perché non scaraventi sui quieti letti
il tuo lato oscuro e non fai come il buio
che strattona la notte sui gradini del giorno
e la costringe a contarli l’uno sull’altro
a rendersi conto della durezza?
Anche tu ti lasci sedurre dal candore di magnolie e gelsomini,
mandolini che irridono alle angosce come fossero frulli
di allodola che in alternanza sale e poi scende pigolando

Mi si stringe il cuore quando ti canto
perché vedo in te chi ti guarda e maledice.

(24.05.11)

Peppenielle

PROVOCAZIONE LUNARE

«…proviamo a tornare a parlare con la luna»
(G. Linguaglossa)

E la sventurata rispose: «Ob -ama- Siria!»

Alfonso Cataldi

Lo sguardo fisso della talpa

Lo sguardo fisso della talpa non osa
defluire dal soffitto basso: oltre
la grata si dipana
in passifalsi
e rasserena stralci angusti
d’esistenza vissuta sui binari.
Di notte,
con i bordi stemperati
che rischiarano il circostante
l’aiuta la luna
ad affrontar dei lupi l’ululato.

(23/06/2002)
Luciano Nota

SE DICESSI VERAMENTE

Se dicessi veramente
quello che al mattino penso
appena sveglio, nel preconscio
con parte della schiena
e del braccio dormienti
con la bocca amara
di non essere riuscito
ancora una volta a concepire
con la mia testa indebitata
e non più giovane
la terra e i suoi elementi
mi lanceresti come razzo al di là del cielo.
Da grande farò la luna.

*

NOVILUNIO

Calma è la luna dietro il muro.
Dietro il muro calmo
faccio all’amore con la luna

Emilia Banfi

L’altra facia dèla lùna

L’era una bravu òm
per sbarcà el lùnari el faseva de tùt
al vendeva i tumatis i scigul
i patati e cest de pòm

La sera strac al guardava ul so lèt
l’era ul so sogn la sua ùnica cunsulasiun
el durmiva cun dù cusit suta el cò
el respir al se quietava dopo un po.

In di ser de luna pièna al pescava
in del lac che l’era d’argent
al pensava che i pèss
a la lùs vegnivan a gala.

El padrun l’aveva mandà via
-Ci trasferiamo in Polonia-
la sua cà l’era picula
ma ghe staven tùcc

Ghera poc da pregà
dumà das de fa e ogni tant
al guardava sura de lù
e se ghera la lùna el rideva

L’era una gran persòna granda
cumè ul so lac de Còm
in cà eran in quater a guardal in di oeucc
ma nisun piangeva davanti a chel’òm.
Emilia banfi

traduz.: L’ALTRA FACCIA DELLA LUNA– Era un brav’uomo/per sbarcare il lunario /faceva di tutto/vendeva pomodori cipolle/patate e ceste di mele/La sera stanco guardava il suo letto/era il suo sogno/la sua unica consolazione/dormiva con due cuscini sotto la testa/e il respiro si quietava dopo un po’/. Nelle sere di luna piena pescava/sul lago che era d’argento/pensava che i pesci alla luce/venissero a galla. / Il padrone l’aveva mandato via/-Ci trasferiamo in Polonia-/ la sua casa era piccola/ ma ci stavano tutti./ C’era poco da pregare/solo darsi da fare e ogni tanto/ guardava sopra di lui/e se c’era la luna rideva/ Era una grande persona/come il suo lago di Como/in casa erano in quattro a guardarlo negli occhi/ma nessuno piangeva davanti a quell’uomo.

Annalisa Comes

Paesaggi con luna

a Yves, e a tutti gli uomini sulle colonie.

I
Oltre il parapetto del balcone
esistono terre inesplorate
che tali per me rimarranno.
Tu parli di mulini a vento,
di palme, manghi e
altre spezie tropicali.
Ancora non hai abbandonato
la tua aria da eterno turista,
lo sguardo vaga intorno
a trecentosessanta gradi.
Laggiù ci sono ratti, scimmie, pesci velenosi,
coralli taglienti, scolopendre, febbri improvvise,
mentre i negri raschiano a terra la spazzatura,
avventurieri si arricchiscono di rum e tabacco,
e tu, chef, di ritorno dalla città,
apri il tuo bel cocco a metà
– metà luna –
bevi il latte e tiri su col naso.
Nel cuore della giungla occhieggiano
tanti animali feroci pronti
a essere sventrati dal tuo pugnale coloniale.

Ma cos’è questa colonia
che ha un aeroporto in miniatura
e ferri vecchi bruciati dal sole
e barili di senape per i clienti migliori?
Ci lasciano attingere acqua a piene mani,
ci sono uccelli di verde bosco,
di blu cobalto e rosso tramonto.
Sulla veranda una mami negra
stretta nel suo grembiule ocra
cucina un’esotica insalata,
si pulisce le mani sui fianchi e
culla una bambina chiara come il fiore di ylang ylang,
e tu dici c’è felice di servire.
Perché sa fare solo questo.

In Occidente i fumi svettano
come bandiere e le bandiere cambiano
pur non cambiando politici e mestieranti,
al tramonto, prima della luna, tu scivoli tranquillo
sulla tua docile canoa
in cerca della spesa.
Agguanti una grossa testuggine e con
monacale pazienza la accarezzi, la svuoti, la lucidi
lavori per giorni e giorni
sul tuo trofeo tropicale.

In Occidente nessuno ha più
pazienza per fare la fila sull’autostrada,
al supermercato, alla posta
e il tramonto lo gode l’inquilino
dell’ultimo piano – se è proprio fortunato,
se ha tempo per fermarsi sulla soglia
della veranda condonata.

Della testuggine ora
neanche l’ombra, perché è sepolta
a nord, in un bel giardinetto di Bretagna.

II
Pensando non so che vago pensiero in testa,
eri quasi sicuro d’aver cambiato vita e
mondo. Ma la semplicità del naufrago
e la solitudine dell’eremita non sono fatte per te.
Chi poteva vedere questa tua nuova vita?
Chi poteva vederti dritto in piedi
orgoglioso del tuo bel mulino con una camicia a fiori
inquadrato dalla luna ?
Un uomo se ne va, solo per poter ritornare.
E se poi ritorna con qualche oggetto tipico
la festa è ancora più grande,
perché gli oggetti nascondono i buchi vuoti,
furti, mancanze, rapine.

III
Alzavi gli occhi alla luna
e quella bruciava, più forte che sui porti
ai quali eri abituato,
più inebriante,
crepitante
come un vecchio ferro da stiro,
colava sulla staccionata, sugli arbusti di lantana, sulla biancheria
ordinata sul filo di plastica verde.
Al largo, fregate, yacht, scafi d’ogni genere e
di latta, di legno e colla,
sudate, la poppa oscillante.
Tu le guardavi passare dalla zanzariera del letto,
la tazza del caffè in mano,
il berretto già calato sulla testa.
Quale altra avventura ti avrebbe riempito la giornata?

L’oceano brilla come metallo d’argento,
sotto la grossa luna
scivoli sull’acqua, dall’acqua guardi l’isola:
la Grande Terra si allontana, i ciuffi dei palmizi
si polverizzano, gli uccelli ronzano
sempre più lontano
e arrivato all’orlo estremo della barriera corallina,
osservi bene il vuoto di blu che si spalanca,
la luce cola al fondo senza più riparo,
la schiuma si frange e sembra docile,
quasi una risacca.
Butti le reti che sanno già di visceri di pesce,
e ti lasci andare a questo giardino
azzurro, attento con la briglia
dell’ancora a non oltrepassare la sponda di un altro meridiano.
Che bel riparo quest’isola di fiori e di vaniglia,
di luna e aperitivi,
di vele, piogge e onde dalla cresta rosa.

IV
Pensando non so cosa, pensi che potresti
rimanere. Questa volta l’oceano
sembra quasi una laguna
sotto la luna nuova –
L’orizzonte è così largo,
la terra così stretta,
l’acqua ti fa un mantello per l’ultima stagione.
Ma il buio nero
appassisce senza spaventare.

Matteo Bonsante

Solenni sono i monti.
La luna visita la stanza.
Letto disfatto, cuori disfatti.
Finestra socchiusa
…………………..

Se ne va per nudi mattoni la ragazza,
la luna la richiama.
Se ne va leggera e nuda,
nella notte di luna.

Tutte le strade si incrociano nel cielo.
Tutte le ragazze si perdono nell’aria
……………………

Come un tuo seno slacciato,
la sera, la luna si alza
ed è un tuo gesto.

Tu sei più bella della luna
quando te ne vai nel brivido
del vento, e io sono il vento
che ti cinge e ti porta via.

La luna è alta
sulle conche, tranquilla,
tra i mandorli
di questo parco e i fichi
d’India.

E tu sei chiara e nuda come la luna
quando ti allontani la sera.
…………………

I sogni degli umani sono senza fine,
gareggiano con le stelle che ardono negli abissi.
La luna traccia solchi nell’imperturbabile.
Solo quassù stridono le ferite.
……………

La luna è la Sfinge che ha preso il volo
e si guarda dentro.
– Dentro alla sua notte eterna.

………………..

Stanotte la luna è in groppa a una stella.
Solo il vento, errabondo, l’accompagna.

Gli uomini, stanotte, si sono rinchiusi in
fumose bettole tintinnanti .

Accarezzano, come il vento la luna, le
labbra del vino.

Lucio Mayoor Tosi

Io e te dove tutto è lasciato.

Ne è rimasto di tempo? Un poco, moonlight.
Tra ciglia e fazzolettini, rose composte, mani arrossate in guanti di raso, tra umili silenzi, guance che si sfiorano e velluti partigiani, io e te dove tutto è lasciato.
Un poco, moonlight.
Ascolta questa canzone per gatti randagi che fa scendere lo sguardo fin sotto le foglie, fino all’ultimo respiro.
Avvicinati.
Sembrava un ragazzo il poeta che si aggirava nel buio di queste pagine. Le parole del viale si piegavano allo sguardo, sulle pietre, sul tempo che resta nel pugno. Poi quella sua morte attenta, letteraria, ne sono certo.
Fino all’ultimo respiro, moonlight.
Lo avrei ammazzato io piuttosto, col pretesto di un bacio, di una canzone al buio.
Ora le rose composte. Le ultime parole sui sassi.
Escono.

Flavio Almerighi

Poesia e altre necessità (106)

Facciamo la luna inedita
caduta nell’oceano
imbevuta di tempesta,
vestiamola di nuovo
con chiglie perdute
cariche d’oro, riemerse.

Facciamo crollare
quel casolare nostalgico
spiegazzato dal vento,
il vuoto contiene tutto
poesia e altre necessità
mentre la luna fa il suo giro.

Pronta (107)

Fronte alla finestra
per anticipare l’esito del giorno
luna fresca frusciante
non la vita sperata, ma amo
una giovinezza dai capelli tinti
quanto più possibile
vicina al disincanto
al saldo bruciante, pronta,
inseguita inutilmente
per empiria e tentativi
ma qui adesso
inspiegabilmente ferma
rivestita pronta.

Perdonami luna, è colpa mia
si è fatto tardi,
pensavo avessi
un giorno intero

Salvatore Dell’Aquila

Tu che hai la luna nei capelli
lo stesso brilli nel buio
e t’annuvoli
a te ululo in silenzio

1966, settembre

attardato sul mare Tirreno
asciugato da giornate laboriose
il sole guarda solo i poveri e i ricchi
e scalda a stento intorno
come la luna nel cielo di giorno

Navìo Celese

Proprio bella la poesia di Emanuele Pini:

Splende la luna e anche
Il ladro
Indugia a cantare

mi ricorda l’haiku di Yosa Buson:

Bella davvero la luna
Il ladro
Si ferma per cantare

A me verrebbe di scrivere:

Stanotte manca la luna
Piove
Governo ladro

Antonello

Giorgio Mannacio

CON QUESTI CHIARI DI LUNA

1.

Alla luna intagliata in marmo pario
– così canta il Poeta –
abbaia un vecchio cane solitario
che poi si acquieta
davanti a una polpetta avvelenata.
La luna è tramontata.

2.

Un pane e mortadella
addenta un netturbino
( turno di notte )
Selene ogni altra stella
nel suo splendor nasconde
Chi se ne fotte
della sua argentea scia
sulle merdose sponde
del Naviglio ?
Finisco il turno. A letto e così sia.

3.
Luna rossa, di te si bea
una canzone partenopea.
Fai la faccia feroce: è il tuo colore.
Qui si spara alle donne e là si muore.
Se n’è ghiuta – si canta – l’altra sera
la femmena insincera….
Spasimante canoro, hai tu contati
quanti morti sono risuscitati ?

( agosto 2013 )

Lidia Are Caverni

Alla luna

Neppure il gufo osava parlare
ferito furtivo nella perdizione
della notte l’elfo del sonno
agganciava la luna grazioso
gingillo per femminili decorazioni
col suo volto bianco di madreperla
fugava il buio dei rami l’intrigo
dei pensieri nella foresta senza
ritorno una striscia di luce
che faceva presagire il mare
lampo di lampara.

Sandra Evangelisti

BIANCA FALCE

Bianca falce di luna
appesa ad un chiodo
di stella.

D’amore pallida luce
riflessa.
Piena
la forza.

(da “Diario minimo”, 2011)

Anna Maria Locatelli

Approdo

E’ notte
mi perdo in un labirinto di stelle
Orione generoso sopraggiune
e Venere dai capelli di luce
e il Carro splendente, i cavalli focosi,
mi rapisce in una scia di scintille
e veloce mi conduce nelle vie tortuose
di ricordi sopiti
tra splendidi lumi
approdo
in un lago di luna

Spettegolata al chiaro di Luna

Calda é la notte
e solitaria
mi affaccio alla finestra
e parlo alla Luna
da comare a comare…
Su di un filo d’argento
mi giungono le Sue parole
a comunicarmi la pace dei Mondi.
Fatto salvo per
qualche meteorite vagante
tutti i movimenti astrali
procedono leali
all’unisono e in armonia
Rivoluzione Rotazione
Giove rispetta Marte
Venere Plutone
il Sole svolge la sua funzione.
Su un filo di ferro
le mie parole
giungono a Lei
bianca e splendente
per comunicare
della Terra i conflitti
e degli umani afflitti
la lenta distruzione.
Trait d’union
tra la Terra e gli Astri
sorride mesta
avvolgendoci
in una ragnatela di luce.
Aspettaci
tutti in fuga da te

Tito Truglia

luna orientale

luna
orientale, donna di vuoto,

io sono solo nel chiasso
dell’Occidente

e non trovo pace nel pensiero
di te

nel colore scoperto dei tuoi
occhi sul muro.

mi
avvicino al tuo corpo

infreddolito
nel sonno

come
di notte la luna nel buio

o
come il giorno la vita al mattino.

osservo
il tuo sguardo dipinto di sole

e il
mio volto nasconde la tua tristezza profonda,

copro
le tue mani con la mia e raccolgo

i
tuoi capelli di nero, sfioro il tuo viso

d’estate,
lento, dopo il desiderio

vissuto
e la pelle s’immerge sulle pareti

dell’oscurità
che frantuma i pensieri

e
svela il mistero del mio sentimento.

il
mistero scompare

e
stillante di gioia ti vedo

nonostante
il diffuso dolore.

ti
prego distesa d’argento, io chinato

alla
fonte, le piume nel buio

mai
presero il vento


Maria Maddalena Monti

FACCIA DI LUNA

Luna piena, faccia di luna
perché ridi sempre nel cielo?
Sei giallo polenta
e ridi ,ridi
con gli occhi a fessura
guardando giù
sulla terra che gira
sul suo asse inclinato.
Luna del plenilunio,
luna degli innamorati,
argentea luna delle serenate,
dell’amore coi mandolini
e dei sospiri
che l’alba dissolverà.
Luna bugiarda
che sorniona fai credere
alla favola bella
delle eterne promesse.
Luna un poco velata,
ma il pianto
non ti appartiene.
Luna giocosa e irridente
vuoi forse un poco
scherzare con noi?
La faccia tua tonda
somiglia a una pentola
di un grande,giallo risotto
e in te
coi cucchiai di legno
si saziano in tanti.

LA LOEUNA A NASCUNDUN

Te capità ‘n quei volta
de vedè la loeuna
giugà a nascundun?
La par na bela tusa che
la se vergogna de fas vidè.
dre di veder a desvestiss
di so’ stascett de nivul.
‘Na lus bianca sui tecc.
e nun e lè. cunt i pensè
che gh’en mai di a nisun.

E la cunta certi viagg
senza trop fas incanta
se a fermas lè ubligata
sura un camp ‘n du lusisen
certi foeug che .paren stell..
In miss lì cum a na festa,
ma peu moeren anca i fiuritt
cunt in di oeucc d’arcubalen
tucc e set i bei culur.
Na girandola la canta
de la guera la cansun.
Una man e fin la facia
giren in aria e peu van giò.
Tucc e guarden e peu van via.
Ma la loeuna la sta ferma
e la piange la sua lus.

El so viagg l’è nmò fini
su i paes e su i cità pien
d’ insegn e luminari.
.Un ‘d cantun scur, un fagott
nanca bun de valsà i oeucc.
La caressa alur la loeuna
chela facia de cartun.
Ma ‘n quei volta
anca la loeuna la vurriss
un peu d’amur.
E la guarda ‘n de’l silensi
du fieou ‘nsci brascià
paren quasi vess vun sol.
De la tusa i cavei d’or
brilln propi cum ’l su
che lè lì per arivà.

La luna a nascondino
Ti è mai capitato qualche volta di vedere la luna giocare a nascondino?Sembra una bella ragazza che si vergogna di farsi vedere dietro i vetri a svestirsi dei suoi straccetti di nuvole.
Una luce bianca sui tetti e noi e lei a scambiarci i pensieri che non abbiamo mai detto a nessuno
E racconta certi viaggi,senza farsi fermare,anche quando è costretta ad indugiare sopra un campo dove luccicano dei fuochi che sembrano stelle.
Sono lì come per una festa, ma invece muoiono anche i bambini con negli occhi tutti è sette i colori dell’arcobaleno.
Una girandola canta la canzone della guerra.
Una mano persino la faccia girano in aria e poi cadono giù.
Tutti guardano e poi fuggono, ma la luna sta ferma e piange su di loro con i suoi raggi.
Il suo viaggio non è ancora finito sulle città e sui paesi pieni di insegne e di luminarie.
Un angolo buio, un fagotto che non è neppure capace di alzare gli occhi.
Piano piano allora la luna accarezza quella faccia di cartone.
Ma qualche volta anche la luna vorrebbe un po’ d’amore.
Guarda silenziosa quei due ragazzi abbracciati stretti che sembrano essere uno solo. I capelli d’oro della ragazza brillano così tanto da sembrare il sole che è lì lì per spuntare

Mario Mastrangelo

‘E mmane, ‘e mmane

‘E mmane, ‘e mmane maligne r’ ‘o munno,
senza se fà veré,
stanotte hanno scavato
‘a terra fredda e attuorno steva n’ombra
ca manco ‘a luna s’è sentuta ‘e scioglie
rint’ ô llatte r’ ‘a menna soja argentata.

‘E mmane sporche, scurtecate a sango,
‘a fatica affannata,
‘l’ombra, ‘o chiarore ‘e luna, scava e scava,
hanno accuvato sott’ â terra ‘a gioia,
chella c’a nuje, ca proprio a nuje tuccava.

Le mani, le mani – Le mani, le mani maligne del mondo, / senza farsi vedere, / stanotte hanno scavato / la terra fredda e c’era un’ombra intorno / che neanche la luna ha osato sciogliere / nel latte della sua mammella argentata. // Le mani sporche, piagate a sangue, / la fatica affannata, / l’ombra, il chiaro di luna, scava e scava, / nascosto sottoterra hanno la gioia, / quella che a noi, che proprio a noi toccava.

(da Si pe’ piacere appena appena parle, Prova d’Autore, 2007)

Luna, meraglia ‘e nu metallo raro

Luna, meraglia ‘e nu metallo raro,
ra ‘e desiderie nuoste cesellato,
ca pènne e maleziosa s’arrepara
mmiez’ ê mmenne r’ ‘a sera prufumata.

Luna, ostia immensa sacra ‘e luce chiara,
ca mane ‘e cielo tèneno aïzàta,
pe’ dà sulennità com’ ‘e n’altare
a ‘e ttristezze r’ ‘a notte addenucchiata.

Luna, medaglia d’un metallo raro – Luna, medaglia d’un metallo raro, / dai nostri desideri cesellato, / che pende e maliziosa si ripara / fra i seni della sera profumata. // Luna, ostia immensa, sacra di luce chiara, / che mani di cielo tengono elevata, / per dar solennità come d’altare / alle tristezze della notte inginocchiata

( da Si pe’ piacere appena appena parle, ed. Ripostes 2004)

Enzo Giarmoleo

Kreep! Kreep!
Io e te
oltre il lato oscuro
Ce la faremo
a superare
l’ultimo potassio
l’ultimo fosforo
Kreep kreep
sfacciatamente
ci fa intravedere
il privilegio delle rendite
Io e te
oltre il lato oscuro

Stelvio Di Spigno

Lo straniero

Ora rimani dove sei,
luna, e avvolgi con le tue spirali
di paurosa natante dell’oceano,
lo straniero pensoso che c’è in me,

che dal primo vagito
mi tiene sotto costante osservazione,
come nella corsia degli ammalati
terminali per troppa vita dentro,
e poco nulla che traspaia fuori,
agli altri uomini e a te, sulle ante del mare –

Lo straniero che evita di guardarmi
quando inverto la rotta
e fingo di non essere me stesso
scordando me e persino il batticuore
di mio padre marinaio, avvolto
ormai in lenzuola color bussola –

È tempo che quest’ombra mi abbandoni,
che mi lasci annegare nel ciarpame
dei ricordi e degli amori d’ottone,
libera com’è di scegliersi
qualcuno più degno da proteggere,
o, al limite, da torturare.

Ma tu non lasciarmi, luna.
Ho ancora bisogno della tua bianca
materna efflorescenza
che tenga diritti sul pendio delle ore
i miei morti – grazie a te
ancora (ma appena) riconoscibili.

Rosaria Di Donato

luminosa immagine
di luna stagliata nel cielo
scure le vette dei monti
circondano il mondo
nel silenzio una voce sussulta
si aggrappa alle stelle
si desta l’amico
la notte
si specchia negli occhi

Luna

oramai stanca
d’andar per sempiterni calli
strade nuove percorro

ascolto gershwin
pesca matura ti porgo

tanto e poi tanto
invento un nuovo mondo

ma sempre inevitabilmente

di spazio confinato
soffro frammenti

Stellata dea

quando mancano le parole
altrove cerchiamo il senso
e il bandolo ci sfugge

ma non si arrende il canto
e tiene il conto dei segreti
annodati ala vita
come buchi agli alberi

stellata
giungerà la dea
a coprire di sguardi
quelli che non parlano
ma intendono il notturno

quelli che odono il sussurro
dei fili d’erba
e l’alitare di foglie
pendule rigonfie
di vita in boccio

Domenico Ludovici

ALLA LUNA MONTANINA

èssote, luna, soscì bianca e pina
te raffacci masséra dalli scogli
e-lle Monache e sagli sulla schina
della Séola brillènno sulle foglie:

la luce le fa trema sulli rami
(soscì tremo ji pure) èsso, è calmata
pure l’aria èsso mó senti li cani
che allùccanu squietati dalle prata

ji pure òglio cantatte dalli sassi
nnanzi casa a guardatte pennoluni
soscì bianca e serina che repassi
su-lli malanni e le benedizziuni

de chi già òrme fin’a omammatina
finacché a pontejornu te scancella
lu primu sòle e che ncima a Cascina
resbianchi e te-nne móri (però é bella

pure loscì, pallida e senza stelle
a fatte da coruna)
so remastu
solu a etétte brillà co-lle nnennélle
nturnu e allumà co esse dall’occittu

e-lla notte lu Termene che casa
pe ccasa à spente le finestre, zittu
e nfreddolitu penzo a na nottata
de quann’era quatranu e a nu nocittu

(sagliutu pe sentì la serenata
alli spusi sposati quilu jornu)
come jenotte ìa t’édde nfrascata
nmezz’a-lli primi rami e ncapusturnu

me fece cascà nterra loco sottu
ma me rerizzé subitu e « Vaglió,
vaglió, la luna! » urlé fore dall’ortu
« S’è mpicciata a-llu noce de Croció! »

ma nisciuno senté « Figliu, que è statu? »
ìsse nonna « La luna? guarda mbó
guardala quant’è àota sullu Latu
e come rìe… che è bella lo iti mó?

polita come una e quele agnella
che stau rechiuse ne-llu Pascularu
come a jornu lu sòle è la lucella
che te schiara la ia quanno fa scuru

e quanno te bbà a cóleca e lu sonnu
te fa chiùe l’occhi essa li sogni belli
e santi te-lli porta… »
è quasci jornu
e me règgio appiccatu alli capilli

come quela lontana ser’e maiu
te guardo, luna mé, come nquil’ora
mbracci’a nonna refattume coraggiu
nnocente e nnamoratu ma m’accora

eté ncim’a-lle Piai che li bastuni
chiamanu già lu sòle e a ti che sbianchi
e che scompari arrète alli macchiuni
abbruciati e alli sassi sulli fianchi

sicchi e Castellu versu Palarzanu
come nfantasma nmezz’a-lla foschia
che dallo bassu s’àosa pianu pianu
e allu sòle essa pure scappa via

(traduzione)

eccoti, luna, così bianca e piena
ti riaffacci stasera dagli scogli
delle Monache e sali sulla schiena
della Séola brillando sulle foglie:

la luce le fa tremare sopra i rami
(e così tremo anch’io) ecco s’è calmata
anche l’aria ecco adesso senti i cani
stanno ululando inquieti dai prati

anch’io voglio cantarti dai sassi
davanti casa vedendoti sospesa
così bianca e serena che ripassi
sopra i malanni e le benedizioni

di chi già dorme fino a domattina
fin quando rifà giorno e ti cancella
il primo sole e che sopra Cascina
risbianchi e muori (ma come sei bella

pure così, pallida e senza stelle
a farti da corona)
sono rimasto
solo a vedere come brilli con le sorelle
intorno e a fare luce dalla botola

della notte su Termine che casa
per casa ha spento le finestre, zitto
e infreddolito penso ad una notte
di quand’ero ragazzo e ad un noce

(salito ad ascoltare la serenata
agli sposi sposati quel mattino)
come stanotte ti vidi infrascata
in mezzo ai rami e una vertigine

mi fece cadere a terra là sotto
ma presto mi rialzai e « Ragazzi,
ragazzi, la luna! » urlai fuori dall’orto
« S’è impigliata al noce di Crociò! »

ma nessuno sentì « Figlio, che è stato? »
disse mia nonna « La luna? ma guarda
guardala quant’è alta sopra il Lato
e come ride… lo vedi com’è bella?

pulita come una di quelle agnelle
che stanno rinchiuse nel Pascolaro
come di giorno il sole è il lumicino
che illumina la via quando fa buio

e quando vai a letto e il sonno
ti chiude gli occhi lei i sogni belli
e santi te li porta… »
è quasi giorno
ed io mi reggo appeso per i capelli

come in quella lontana sera di maggio
ti guardo, luna mia, come in quell’ora
in braccio a nonna ritrovato il coraggio
innocente e innamorato ma mi accora

vedere sulle Piai che “i bastoni”
già chiamano il sole e tu che impallidisci
e che scompari dietro le macchie
bruciate e dietro i sassi sui fianchi

secchi di Castello verso Palarzano
come un fantasma in mezzo alla foschia
che dal basso s’alza piano piano
e che davanti al sole scappa via

APOSTROFE ALLA LUNA

« me só resbeglia all’improìsa, luna
la cìtola che piagne, e tu addó sta?
ji me só jit’a cóleca, era l’una,
e tu bianca ncrescenza t’eri già

affacciata allu pizzu dellu Latu,
ma certe nùole nire eranu nmarcia
versu le Piai l’etéa mosse da nfiatu
enì leste a sporcatte sulla faccia

èsso preché la citola mó piagne
che s’è resbeglia sòla nello scuru
e non à ista luce alle muntagne
s’è mpaorita e s’è missa nfacciammuru

(tu intantu é già rrescita sulle piante
nnanzi casa e refà, èsso, copoccélla)
e ji m’assetto allu lettucciu (quante
lacreme, core mé, quantu scì bella!)

a consolalla d’èsse ancora cria
e sòla e pó strignènnomela pó
l’ìcio “non piagne, su, su, que bbo scia?
temé? lo scuru! luna cala jó

bé a fà luce a sta citola resbeglia
da nsognu léciu, èssola allu prungolu
l’iti? te guarda, com’è bianca, figlia!
essa, lo sà? nisciunu lassa solu

e pó tu é bella come nsòle bellu
ch’essa senne nnamora e quanno òrme
se-lli assetta allu fiancu pe betellu
e bacialli coll’aléma le forme

e accarezzallu fin’a-lla mmatina
quanno issu se resbeglia nellu niu
e-lla notte e issa ancora li sta ecina…
su, fa la bràa, chiui l’occhi n’atru criu” »

(traduzione)

« mi son svegliata all’improvviso, luna
la bambina che piange, e tu dove sei?
io sono andata a letto che era l’una,
e tu bianca crescente t’eri già

affacciata all’angolo del Lato,
ma certe nubi nere erano in marcia
verso le Piai le vedevo mosse da un fiato
venire svelte a sporcarti la faccia

ecco perché ora la bambina piange
ché s’è svegliata sola nel buio
e non vedendo luce sopra i monti
s’è spaventata e s’è girata al muro

(tu intanto sei tornata sulle piante
davanti casa e rifai capoccella)
e io mi siedo al suo lettuccio (quante
lacrime, cuore mio, quanto sei bella!)

a consolarla d’essere piccina
e sola e poi stringendomela poi
le dico “su non piangere, che vuoi che sia?
di che hai paura? il buio! luna scendi giù

fa’ luce a questa bimba risvegliata
da un sogno scemo, eccola al pruno
vedi? ti guarda, com’è bianca, figlia!
lei, lo sai? non lascia solo mai nessuno

e poi tu sei bella come un sole bello
di cui lei s’innamora e quando dorme
gli si siede accanto per guardarlo
e baciargli con l’anima le forme

e per accarezzarlo fino alla mattina
quando lui si risveglia nel nido
della notte e lei gli è ancora vicina…
su, fa’ la brava, chiudi gli occhi ancora un pochino” »

Anna Marinelli

Nei paesi
non c’è più chi interroga la luna…
solo i vecchi, con il senno nelle coppole,
sanno dare risposte
anche a quanti
non hanno più domande…

*
Questa notte ho sorpreso la luna

Rigirandomi su un letto di pensieri,
con l’orecchio teso
a carpire suoni lontani,
con le pupille ebbre di penombre
rigirando un guanciale di sospiri
ho raccolto impercettibile rumore
scalpiccio di silenziosi passi…
Mi sono levata con far di sentinella
in cerca di ladruncoli a rubare
ma ho sorpreso invece la Luna
invidiosa dei miei sogni e dei miei mari…

Francesco Tarantino

LUPI ALLA LUNA

Passaggi di luna sorretti da abeti
Incanti di luce negli occhi dei lupi
Il bosco è una casa senza pareti
Che non precipita i sogni nei dirupi

Il branco racconta al disco di luce
I confini del mondo e le barriere
Gli spazi che l’uomo ancora riduce
In anse e recinti di nuove bandiere

Ubriachi di martiri e di altra follia
Cavalcano nubi e sfidano i cieli
Nella ricerca di una possibile via
Che leghi il destino e poi lo riveli

Lupi che corrono incontro alla notte
Tra un vento di presagi inquietanti
In cerca delle luci di strade interrotte
Dai cacciatori con occhi abbaglianti

Miseria di sogni rovinosi di affanni
Per spegnere fuochi brucianti foreste
Il tuo viso si perde in percorsi di anni
Nella pioggia che cade dalle tempeste

Piangi alla luna mio lupo solitario
E ulula forte finché non sarai stanco
Spezza le catene di questo calvario
E al prossimo giro sarai col branco

Saranno le lacrime a bagnare la luna
Ogni volta che passa e ti ascolta lucente
Può darsi ti accechi di molta fortuna
O forse cadrà sul tuo sguardo piangente

Fortuna Della Porta
da “Lunazioni””

Bella di notte

Non sono dissimile dalle altre donne
ma ho mani fredde e mi sveglio al tramonto.
Ogni uomo che segue la scia dei miei tacchi d’argento
la traccia della mia borsetta di strass
e vorrebbe scaldarmi
incontra i miei baluardi di pietra
avverte sottopelle lo scarto
senza badarci. Crede di farcela.
Talora, il convenuto, scava per me sulla parete
una via da cui potrebbe colare la luce.
Vi appone un sole sgargiante e fasullo.
Lo irrido col mio seno gonfio, le mie labbra sconfinate.
Ma, signora della notte, non appartengo al piacere.
È aria umida che per errore fu attribuita al mio fiato.
Navigo, invece, i fiumi gelidi delle mie vene,
posandomi nelle gole
dove non soffia mai un respiro condiviso
e sulle mie dita non nascono rose e gelsomini
per farne pegni d’amore.
Le mie cavità sono buchi neri
i miei baci si fermano prima della piega delle labbra
ingoio l’incommestibile
ma la mia radice è interdetta.
A tutti tocca raccogliere quello che non do:
come una pantera che si allontana dall’occhio del fucile
sfilandomi una calza,
abbandonandomi
allo strapiombo di una lampada al neon,
non mi commuovo mai: mi libero e mi nego.

Femminea

La bianca sorgente di luce che tintinna nel cielo
proviene da me.
So da millenni che qualcuno, seduto sulla pietra notturna,
recitando ostinato il rosario dei giorni,
e sciogliendo la sua grata meraviglia pagana,
legge nelle mie valli girovaghe il suo presentimento.
Ma io appartengo solo alla gazzella bianca
che attraversa le praterie e caccia accanto allo stagno,
vicino ad alberi alti come pinnacoli,
e, mai domata dalle oscillazioni del suolo
dal disidratato luccichio delle foglie,
spesso si contenta del muschio della parete del nord.
Non sono però la fanciulla che piange in rima perle d’amore,
ma l’antilope dallo zoccolo prodigo
che canta le nenie che passano il crinale dei monti.
La mia pioviggine aspetta accovacciata nel giorno
Il pendaglio appeso al suo collo di biacca
mentre dalla bocca rorida sgrana
con la gonna alzata e la rosa riccia tra i capelli
il canto delle lavandaie a chiamare il sole
strofinando alla fontana gli stracci del sangue.
Sono il desiderio avviluppato ai suoi seni
la sua caparbietà simile al marmo.
L’allucinazione del mito che mi circonda
non sa dar conto del mio e del suo mistero
come per i chiodi eroici che lei batte a mani nude
sorridendo al viso di mandorla di un vecchio.

Stupri

Mi chiamo Luna. Sono cresciuta nei vicoli
che finiscono nelle sabbie mobili
quelli che disdegnano lo sfoggio dei raggi.
Esiliata nelle terre di mezzo
dove respirare equivale a un destino
nell’ombra di un albero qualcuno entrò dentro di me
e mi piantò nella carne i denti
e una tormenta che urlerà per sempre.
Da allora, per sopravvivere, mi rinnego.
Obbligata a vivere l’oscurità del fiume
travesto me stessa per disconoscermi.
Mi chiamo anche Sara, Maria, Luisa.
In mio nome hanno calato un’ascia
e abbattuto un ramo di un pesco
che avrebbe voluto scrivere la primavera.
E spesso sono caduta subito
come una frana che anticipa la sua rovina.
Mi chiamo Elena e la memoria ha posto su di me
l’urlo di una guerra.
Invece c’era pace sul fiume prima che, farfalla all’amo, fossi presa.
E fu punita anche Cassandra
che anticipava l’impazienza del sabato sui tramonti del venerdì
perché ogni mia sorella deve portare il peso del grembo.
Non vedo pascoli ospitali dove addormentarsi al sicuro
come accanto al camino.
Ho sempre guardato la fiumana
che nasconde nella profondità la lama dei coltelli
che però guizzano all’unisono in mani competenti
mentre si allunga su di me il graffio dei rovi
tra i quali cerco un passaggio verso il canto dell’alba.
Perché sono anche la madre che ha elevato un figlio al cielo
facendosi passare attraverso
per poi sporgerlo alla finestra del mondo.
Sono io che invento le melodie della sera
l’acqua lustrale delle ninnananne
alle quali si piegano anche le nubi del cielo.
E ogni volta getto il fiato più lontano
come una pioggia arancione a bagnare l’erba.

Carla De Angelis

LA LUNA

C’è differenza tra luna piena e mezza luna
Non è solo questione di misura o di luce
Come scrivere i giorni pieni?
Le parole di sempre scendono sulla carta
È un miracolo
Si dispongono al bordo del cerchio
La luna ha preso tutto lo spazio
Gli alberi hanno le foglie bianche
Le lucciole continuano a tacere
I sentimenti sono limpidi
Le stelle in un via vai la salutano
Poi tutto si ferma
Gli occhi dei gatti scintillano
La luna si chiude a spicchio e sogna per noi

– Roma 2 settembre ’13

Paolo Polvani

Luna balbuziente

Lu lu luna che ci u u
ubriachi di indifferenza e ci u
u umili con alte altera
sufficienza, luna
gro groppa di luce
dei tuoi ba baci finti
non non sa sappiamo che fa
farne, tu lu luna re resta là
dove sei e non interfe
ferire con la mia ba bal balbuziente
po poesia che po poi dicono
che so sono un poeta della lu
luna. No, tu lu luna
che bri brilli nella po poesia di a
anni luce fa, resta là,
inchiodata al bianco, al pa
parapetto del vu vuoto.

Claudia Zironi

Osservo la notte

La luna cola occhiate cattive
Sull’ultimo ubriaco
Teneramente
Romanticamente
Abbracciato a un lampione
Con un coltello nello stomaco

Bagliore d’oriente.
Giorni che scorrono inutili
fra spiragli che si aprono e si chiudono
immediatamente…
oggi non sarà diverso da ogni altro giorno

Anna Maria Ercilli

Lunare

Luce dilata sul retro
della vela, lattea nel mezzo
guardi, mano nella mano
non parli ma ti avvicini
le palpebre chiuse
colpevole luna
troppo il rancore di non
averti vicino, mano
nella mano senza pegno-
esce dal riparo segnata
dai mari prosciugati
dilaga luminosa ipnosi-
pulsa nel tempio
del possibile un ricordo.

2013

Marina Minet

Ostro

Ho un dolore che sanguina vento
su capi e frontiere flesse all’aurora del rimando.
Un volto istoriato a chiaroscuro
che fa le veci al sole
e un disordine che odora rotta
arando vele a Dio
*
E ancora il forse a scalfirmi
che artiglia con unghie di falena
e ne divora sale all’ombra di panchine incustodite
*
Sono pioggia imprecisa
e mentre conto miglia, infilo perle piane
su fili immaginari tingendomi le mani di follia
*
Potete cogliere lacrime intarsiate su scogli
come mitili arresi per farne maree
dove il sempre posa sfamato
un tratto che mai muore
prima d’abbandonarsi sul mare
*
Luna
parodia sbieca
osservarti mentre inventi condanna.
Di questo cielo che ci slega
potrei mangiarne curva
se solo mi voltassi al tuo pallore muto.
Potrei plasmarne uscio
scovando chiavi
dove il barlume arretra al nome dell’amore
*
Morirai mai, luna?
Spegnerai la notte fra le tue labbra al neon
e sarò scroscio nuovo.
Sarà così.
lo sento.
*
Spirerai col fiato del silenzio
e diverrò tua sposa rendendoti mia culla.
Libererò corpo da aghi senza crune
e scivolando su screpolature indomite
vestirò nome freddo
*
I turbamenti sono semi d’ortica
ho terra incolta quanto basta a renderti sovrana.
Conobbi l’amore e ne inventai carni affamate
per poi farne digiuno.
Vegliando torpori in balia di diluvi
ho intinto pane su labbra di mimosa
sentendo accordi nudi
*
E non so dirne pena
se questa mi è di grazia
né so scompormi fitta
se in questa ho divorato miele
creandomi respiro
*
E che d’amore se ne parli ancora
che se ne dica sangue,e vizio, e torto, e offesa.
E se di morte si dirà,
bussatemi le ossa
e puntate a bandi in mostra d’inchiostro vaneggiato
*
Che possa averne tralci
di questo mio sfiorire su semi circolari.
Fiotto per ungerne esordio
e vampa per ravvivarne fuga.
Che sia sempre replica per poi farne principio.
E se mancarmi ne sarà balzello
rinascerò selciato per svolgermi stagione
a partorirmi fiato
*
Dammi l’istante luna.
Dammi l’attimo che serve a non svanirgli.
Quanto basta a ritrarmi vera.
Il tempo di una luce fiocca scialba.
Un avanzo ad infilarmi dentro
per offrirgli mosaico di rimpianto.
*
Dovrei sbocciare nel deserto come rondine
Prima d’andarmi oltre.
Dilagare l’alba del suo odore fino a farne sabbia.
Con canestri allestiti all’esodo
trafiggerò il mio dire cavandone poesia
a farmi cosa viva
*
La luna spira.
Cullando a rilento cortometraggi illusi
cola quiete su accenni insabbiati in verticale.
Dal basso, a fissarla un pierrot accecato
sorride chino
spegnendole confini

Luca Chiarei

Siamo lune che si guardano quelle che
fanno il rumore della gente che cammina / quelle che
si guardano guardare quelle che
in inevitabili parallassi cercano
il segno di uno sguardo riflesso / quelle che
sono rocce vuote senza eco

[*ho messo la / perché Word Press non mi permette di mantenere gli spazi previsti da Chiarei. E.A.]

Maria Grazia Di Biagio

L’enigma è sorriso di luna
e tu sei nel vortice oscuro
di lei che governa sul flusso
riflusso dell’alta marea
M’ignora radente lo scoglio
orgoglio ferito sull’urlo
di voce che tace il ti voglio

Io voglio!

Toccare!

La luna!

(2012)

Imelda Santoro

Luna dormiente

Ehi tu!! Ma che fai svegliati.
Ti stanno guardando tutti e…non è questo
il momento di…“Apparire!”

Chi parla è il campanile
posto sul punto più alto
di un piccolo paese.Un gigante,
accanto alla piccola Chiesina.

Lo vedo…in alto su una collina
dopo una delle tante curve,
percorrendo la statale.

Come un grosso indice
si rivolge alla luna ( enorme )
che …si è dimenticata questa mattina
di “tramontare”.

Forse…era troppo stanca
per aver fatto luce, tutta la notte
agli innamorati che…
come sotto ad un grosso
lampione…(discreto) si sono amati!

Perché questa era la fase
della luna…”Piena” accondiscendente!!
Una delle tante.

E …gli amanti sanno quanto la luna sia
“Mutevole” “ Lunatica”…e…“Romantica”
all’ombra di questa fase che… invita all’amore,
si sono lasciati andare.

Perché anche…nella sua fase esplosiva
“Lei ” la luna “ sa essere …”Discreta

Giulia Fontana

19 settembre 2013 luna piena

Ieri ho abbracciato l’immisurabile:
la faccia piena della luna
e quella della Luna dal naso rosa
delle cime d’aglio spruzzate al limone
e il cuore giallo dell’uovo
bollicine d’acqua e tre formidabili attori
posso aspettarti serena ovunque
al tavolino di un bar e dare il nome ad ogni cosa
quasi a contenerla – catalogarla
rassicurante parola
fogli – penna – telefono – letto – tavoletta del bagno
guasto elettrico all’improvvisa intermittenza
ieri- con quella luna – non poteva essere un contrario
avremmo potuto fare anche l’appello alle stelle
aggiustare la direzione dei corpi infilati
sulla tua schiena insieme alla seta e due abbracci ci ho attaccato i pensieri
in pegno solo un gioco di odori
e mi sei anima,
stasera.

Aldina Mastroianni

Quella luna

Quella luna tutta foschia
tange e non frange la malinconia

Quella luna tutta chiara
è di emozioni un poco avara

Quella luna tutta scura
ha il colore di una fregatura

Quella luna tutta faccia
stasera forse al mio balcone si affaccia

Quella luna tutta intera
mi fa la vita meno nera

Quella luna tutta bucata
piange e ride alla disperata

Moti di luna

Non so a che punto ora sia,
se di uno, due o tre quarti.
So però che nel gioco
di celare e apparire, illuminarsi e patire-
forse io seguo il suo moto.

Notturno

La nuvolaglia, che la nostra corsa accompagna
spinta dal vento che veloce spazza
la costa, e fin Pizzo- Vibo -Capo Vaticano
le fitte file di fosforo specchianti;
nera più della notte che dettaglia
il lontano, mentre il vicino appanna
le umane cose, e il tutto eguaglia
del desiderio vana plaga astratta:
e più dell’acqua che attraversa a sprazzi
nero a nero all’orizzonte pareggiando
di contro al chiarore che con distacco accampa
Luna che indossa un suo tre quarti blando

( da ” Beauty case”,1998)

78 commenti

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78 risposte a “Poesie sulla luna

  1. emilia banfi

    -Giuseppina splendide tu e le tue notti di luna! Che dire …come mi piacciono le tue “sub-presenze confuse” per innalzare bisogna partire da molto in basso. Resta il fatto che si pensa sempre alla nostra vita alla nostra terra e alzare lo sguardo richiede forza , quella forza che accompagna la semplicità di tutto coloro che sanno ancora vedere quel cielo in cui tutti siamo sospesi.

    -Emanuele Pini, il tuo ladro è ladro di mele o di albicocche , forse di passioni…il suo canto arriva prima della luna. Bellissimo!

    -Giorgio Linguaglossa. accipicchia un vero anagramma…leggo e rileggo e la luna si fa quasi cattiva , irriverente, colpisce tutto spirito e corpo, lascia ferite in un sogno dal quale non è semplice svegliarsi . Poesie in cui il ricordo si fa vivo dentro una luna che pur di grande splendore si prostra quasi a chiedere perdono…ma non è nelle sue facoltà – Parole precise che confondono terrore e bellezza , ad arte.

  2. Giorgio Linguaglossa

    sono convinto che scrivere oggi poesie sulla luna sia un atto di contro conformismo. La luna è oggi un astro geologicamente morto. Ma ciò che noi siamo oggi è dovuto in gran parte alla luna, formatasi 65 milioni di anni fa a seguito del terrificante scontro tra la Terra e un pianeta delle dimensioni di Marte. Oggi la luna è un astro morto, ma è viva in noi che dalla Terra guardiamo il suo volto ceruleo e bianco. Leopardi parlava alla luna e con la luna perché non aveva interlocutori sulla Terra. Forse è questo il compito del poeta. Come scriveva Mandel’stam negli anni Dieci che compito del poeta lirico è «scambiare segnali con Marte», io dico che per essere “originali” non dobbiamo necessariamente infarcire le nostre poesie di chat, di Irpef, Ilor, di scontrini del barbiere, del 740 e di didascalie in margine ad articoli di giornale; proviamo a tornare a scrivere poesie sulla luna, proviamo a tornare a parlare con la luna. Forse è questo il modo migliore di scrivere le poesie politiche del nostro tempo.

  3. Antonello

    Bella la poesia di Emanuele Pini, mi ricorda l’haiku di Yosa Buson:

    Bella davvero la luna
    Il ladro
    si ferma per cantare

    A me verrebbe di scrivere:

    Stasera manca la luna
    Piove
    governo ladro

    Antonello

  4. ro

    Mammamia che doni, è pieno zeppo di tante lune e di nuovo anche Emy, mancava proprio una delle sue per la luna in dialetto quasi polacco (scherzo). E c’è anche Peppinielle, notissimo poeta politico internazionale.Del resto la luna una è, sia che la abiti dal Libano o dalla Siria che dalla Norvegia. Ringrazio davvero tantissimo Abate per aver dedicato questo spazio in continua espansione come se la luna, solo per una carezza, stesse quasi cadendo morta stecchita per risorgere ai nostri piedi.

    Credo sia molto vero ciò che ridice in altre parole Linguaglossa, cioè che rivolgersi a “lei” abbia una particolare possenza per l’arte poetica-politica tale da rigenerarla (del resto come l’influenza dei suoi cicli eterni per altri raccolti e aspetti della vita della terra e degli uomini) . La sua forza è molteplice, può passare in un istante dai deliri degli spettri (vedi la prima di Linguaglossa) ai dolci incanti della prima di Emy, da cui tutto è partito ma pur sempre con il brusco risveglio “per la notte”. Poi passa a un altro dei suoi lati, diventa quasi la visione di una luna telecomandata come i droni e la malaluna di Simonitto. Ma là(drone) subito arriva puntuale, e un altro coro dal Pini partito silenziosissimo giunge al fracasso del governo ladro di Antonello ( e ladro di tutti noi, di ognuno come la luna del resto). E in tutte queste maree, c’è una bellissima chimera con un muretto, di Di Leo e di Nota, e ancora aloni e maree lunari si scorgono in cielo di Moltiluna.

    ancora grazie , grazie a tutti e un saluto speciale a Peppenielle.

  5. Rita Simonitto

    Sono d’accordo sul fatto che scrivere in poesia parlando di * Irpef, Ilor, di scontrini del barbiere* o di altre concretezze del genere (ma in questo rientra anche il bombardamento attuale della Siria?) SOLAMENTE per mostrare di essere, secondo una visione ‘materialistica’, in contatto con il cosiddetto ‘reale’ sia una ‘bufalata’.
    Nel contempo, penso anche che non ci sia molta differenza tra questa modalità e quell’anticonformismo (o contro conformismo) che serve “pour épater les bourgeois”, ammesso che ce ne siano ancora di ‘borghesi’ (però qualcuno fuori tempo o sprovveduto lo si trova sempre per poter fare bella figura. Al posto dei ‘borghesi’, oltretutto, c’è quel ceto medio semicolto che, non essendoci più la ‘Milano da bere’, è sceso di un gradino più giù e non riesce più a distinguere la qualità delle ‘bollicine’ proprio perchè ci sono ‘bollicine’ per tutti).
    Il problema dell’”originalità” in poesia non credo abbia a che vedere con l’inventarsi qualche cosa di nuovo in una rincorsa frenetica alla ricerca di *interlocutori*.
    Leopardi parlava alla luna non intesa come oggetto transizionale, sostituto di un interlocutore deficitario o impossibile (*non aveva interlocutori sulla terra*), ma come paradigma di un discorso altamente complesso tra mondo interno e mondo esterno legato alla loro ‘incomunicabilità’; al conflitto tra ciò che appare ed è percepibile con i sensi e ciò che invece risiede negli anfratti più profondi.
    Sarebbe da chiedersi invece se le modalità stilistiche per *scrivere le poesie politiche del nostro tempo* (Linguaglossa) debbano avere caratteristiche particolari quanto a ‘nominare’ (ovvero, essere ‘esplicite’, tenendo conto delle ambiguità degli attori, moneta corrente di oggi), o invece debbano rimanere in un campo ‘suggestivo’, oppure si debbano creare ‘parole nuove’.
    Inoltre vorrei capire meglio come coniugare il più che approvabile intento di *non dobbiamo lasciare nessun pensiero disarmato, non dobbiamo accettare nessun pensiero così come ci è stato consegnato, dobbiamo rimettere tutto in discussione, dubitare di tutto, mettere tutto in crisi di certezza* (Linguaglossa) con il * proviamo a tornare a scrivere poesie sulla luna, proviamo a tornare a parlare con la luna. Forse è questo il modo migliore di scrivere le poesie politiche del nostro tempo* (Linguaglossa).
    Il che (= *proviamo a parlare con la luna*), senza dubbio può essere letto come un invito da prendersi sotto metafora ma , con i tempi che corrono, impregnati dell’ambiguità del ‘qui lo dico e qui lo nego’, queste espressioni contraddittorie meriterebbero qualche chiarificazione.

    R.S.

    • ro

      Non sono esegeta del pensiero di Linguaglossa, ma da quanto ho intuito nell’invito lunare di Linguaglossa, c’è proprio quel ponte ancor più bombardato rispetto ai tempi leopardiani dei passaggi già problamitici fra mondo interno e mondo esterno…a me è piaciuto inneggiare al Leopardi in voi/noi, nel post precedente dell’abitantemy, perché ho intercettato nell’ambiguità di tipica dote poetica positiva(quella stessa anche di certi spettri della notte), il ritorno a un tempo e un secolo “italiano” di una poesia che con Leopardi e non solo, fu molto più “poesia”(quindi politica) che il novecento. In realtà, se ci metto a pensare- e mi limito a Emilia Banfi( solo per sintesi spazio commenti)- da sempre vivo la sua poesia come arrivasse saltando tutte le lune brevi del novecento.
      ….
      Non credo inoltre che Linguaglossa, quando invita a questo collegamento lunare, possa cadere in un’ambiguità che respinge ad ogni arco di quel ponte laddove a costo di passare per scostante o antipatico o aristocratico anche ai mie semplic occhi, rivendica in nome della dignità o dell’onesta intellettuale, che santi e sante poeti non devono esistere. Sicchè di logica, ma anche di santo, non credo esista nemmeno santa luna ( per lui così per ognuno di noi). Dovremmo far santo altrimenti il mare o santo pozzo…troppi altarini e si ricadrebbe nel blob apoetico da cui chi in un modo chi in un altro ha già iniziato o sta iniziando il suo ” esodo”

      credo inoltre, a proposito di bollicine e blob(riaffermo il mio pensiero a costo di passare per antipatica o stupida) che insistere sul ceto semicolto ha fatto il suo tempo, inoltre visto che come hanno preso a pesci in faccia gli abitanti del pianeta, sarebbe cosa buona e giusta saper distinguere il mondo persone per livelli di responsabilità gerarchica pur ammesso il gioco degli specchi fra i livelli stessi. Quindi almeno per me è da preferire chi si occupa, nel proprio grande o proprio piccolo, di fare semi-cose completamente buttate al vento o alla luna, che diano qualche traccia diversa da quelle che i grandi carnefici della realtà forniscono loro.

  6. Un po’ in ritardo, ma ecco:

    Io e te dove tutto è lasciato.

    Ne è rimasto di tempo? Un poco, moonlight.
    Tra ciglia e fazzolettini, rose composte, mani arrossate in guanti di raso, tra umili silenzi, guance che si sfiorano e velluti partigiani, io e te dove tutto è lasciato.
    Un poco, moonlight.
    Ascolta questa canzone per gatti randagi che fa scendere lo sguardo fin sotto le foglie, fino all’ultimo respiro.
    Avvicinati.
    Sembrava un ragazzo il poeta che si aggirava nel buio di queste pagine. Le parole del viale si piegavano allo sguardo, sulle pietre, sul tempo che resta nel pugno. Poi quella sua morte attenta, letteraria, ne sono certo.
    Fino all’ultimo respiro, moonlight.
    Lo avrei ammazzato io piuttosto, col pretesto di un bacio, di una canzone al buio.
    Ora le rose composte. Le ultime parole sui sassi.
    Escono.

  7. eugenio lucrezi

    Moon and bat (landolfiana)

    Sei il battito o la luna che da lontano guarda?
    Il pipistrello cammina esattamente
    col tuo battito d’ali sul selciato.
    Ed all’inizio, anzi, non ti vidi
    se non nel fremito battente di quel sangue,
    nell’ovale notturno di quel viso.
    La luna o il pipistrello? Quale cielo?

  8. ro

    Per Linguaglossa, ma anche G.Lucini, e chi vicino a imprese delle armi poetiche editoriali:

    perché non pensare/pensate a uno “sbarco” poetico editoriale di questa pre-raccolta lunare così corposa già ora, appena iniziata grazie ad Abate e Linguaglossa?

    Potreste dedicarla leopardi e partendo da lui a un nuovo “ciclo” . Non credo che si correrebbe il rischio di ricalcare almanacchi blob mediatici di tuttologi in lunologi. Credo che non solo i poeti, ma al pari i lettori come i satelliti o i pianeti sarebbero vicini a questo sistema planetario, no? Un po’ come le voci della luna di Fellini e non solo 🙂

    🙂

  9. Anch’io ho una poesia sulla luna, molto breve è del 1996:

    BIANCA FALCE

    Bianca falce di luna
    appesa ad un chiodo
    di stella.

    D’amore pallida luce
    riflessa.
    Piena
    la forza.

    da “Diario minimo”, 2011

  10. Che dite ragazzi, adesso ci facciamo anche una bella scorpacciata di gabbiani così, per non farci mancare niente??

    • ro

      Molto interessante il suo intervento, ricco di argomentazioni e spunti, pertanto eccola subito alato, o soddisfatto e rimborsato che dir si voglia. .

      Profezia
      Se apriamo la mente a volo di gabbiano,
      ci aggiriamo per la notte come lune sconfitte,
      descriviamo parabole impossibili:

      la storia è fatta di cliché e di retorica,
      ci viene incontro trionfale, finale
      col suo vestito scuro, la falce popolare,
      il teschio secco che ride sui berretti
      di certi filmati in bianco e nero …

      per lei cantammo, ballammo come l’orso
      di un vecchio circo fallimentare

      e per quanto avessimo cantato, ballato, falsato
      il vero, per farne trame di felicità e utopia,
      ora siamo blindati in un archivio.

      Non sapremo le voci dei bambini dopo scuola.
      Non solcheremo mai più alcun cielo sicuro,
      né sentiremo lo spiro di quel vero
      che diciamo respiro della libertà…

      Gianmario Lucini
      Elegie per Baghdad dalla raccolta A futura memoria

  11. Giuseppina Di Leo

    Scendono che è una meraviglia queste poesie!
    Ringrazio Giorgio Linguaglossa per l’idea e Ennio Abate per averla condivisa, mi piacerebbe che anche Ennio postasse le sue.
    Un grazie-abbraccio particolare a Rò e Emy!

  12. emilia banfi

    Brava ROOO! e SUPER il grandioso Lucini

    Ennio daiiii che lunga attesa!

  13. emilia banfi

    Giuseppina un abbraccione anche a Te-

  14. ro

    Per Emilia e Giuseppina

    Carissime..carissime “lunette”, grazie dei vostri affreschi ancora .A mia “volta” danzante, in un poligono simile quindi stellare come il vostro, fino a voi mi dissolvo in un abbraccio polare.
    a presto (dissolvenza permettendo) 🙂

  15. Trovo gustosissimo e interessante l’apporto a più voci di poesie centrate sulla luna. E per rendere ancora più vivo questo fitto imperversare di liriche – tutte molto belle devo dire – mi piace aggiungere ancora un paio di mie liriche. La prima risale alla fine degli anni ’50, mentre la seconda è degli inizi degli anni ‘80. Più di un ventennio separa dunque queste due composizioni. Vi si può cogliere credo, tutto il trambusto che in questi vent’anni c’era stato in Italia, come lo sbarco sulla luna (e la conseguente apparente desacralizzazione della luna), l’imperversare della ‘parola’ che da essere veicolo di verità diventa sempre più strumento capzioso e sofisticato finalizzato alla vendita dei prodotti (pubblicità) o di nascondimento della verità (politici , truffatori, impostori…). La paura che si insinua in quegli anni di un possibile, anzi probabile, conflitto termonucleare tra la Russia e l’Occidente etc. Ma c’è anche altro: l’età che inesorabilmente avanza… e Isotta (l’amore ideale e irresistibile) diventa sempre più il dono della gioventù e non ahimè di chi si avvia ineluttabilmente verso l’età calante… etc.

    Un grazie di cuore va rivolto a Ennio Abate che ospita questo blog.

    ADAGIO CON MOTO

    Dal mare sorge la luna.

    improvvisa:

    nella pienezza della sua
    essenza
    circolare
    tranquilla
    onniveggente

    e si disvela il mondo

    le fragili frange
    delle nuvole basse
    agli orizzonti

    gli stagni taciti
    tra i canneti

    i muschi, le raganelle

    e le maree e i tetti
    in marcia
    nella fresca notte.

    SULLE TERRAZZE DEL DIO.

    Hai messo il dito nel silenzio delle cose.
    E’ caduto il nome – ricchezza d’arnie e neve.
    Bianche sillabe.
    E poi l’alito della tua tristezza.

    (All’intorno paesi d’acqua e regni. Una grande
    distesa di porpora è il volto dell’anno senza nome.
    La genealogia convulsa della Presenza
    in secoli senza lodi. E il Segno
    dell’uomo su binari morti).

    – Avrai una casa anche tu in cui abitare, il vento.
    E il tratto distintivo del tuo Segno, il sangue.
    Purpureo.

    Stirpe di re. In cerca di profumi di morte.

    Hai messo il dito nell’attesa delle cose. Sereno
    germoglio,
    neve e olive candide. Brusio lieve d’alba. Quel
    bianco
    fremere dell’aria che si distende come colomba sui
    telai
    del mattino. Tra freschezza di rondini e ruscelli.

    Ti incammini anche tu nel Segno e nel dolore.

    Hai messo l’ansia nella distesa delle cose.
    L’incresparsi
    di ali e di tempeste che si incontrano e si scontrano
    ogni
    notte ai confini migrabondi delle essenze.
    Sillabazioni
    aperte a tutti i miasmi dello spirito. Alla trappola e
    alla
    giostra degli eventi.

    (Vulcani notturni – con voce lieve – intessono il
    racconto senza fine).

    Te ne stai così sul ciglio della sera con la speranza
    che si sfalda in sillabe distorte. L’arsura è nelle
    parole consumate.

    – Dispiegamento incompleto dell’Essere nelle parole.
    Nelle cose.
    Dismisure. Vertigini. Toppe.
    Segnali di cenere si innalzano ogni notte.

    … e muti occhi attenti.

    *

    Sulle terrazze del dio ti muovi. Solitario.
    Aspetti la nuova stella. La bianca sutura.
    L’incontro.
    La rincorsa alata nelle altezze.

    Solitudine.

    La solitudine avanza su pescherecci d’albe morte.
    Giù nelle darsene di uccelli neri. D’oleandri bruciati
    al canto del catrame.

    La primavera – in un bagliore di esistenza – ha
    risvegliato
    un anno tutto oscuro. E’ la luce che così canta
    l’anno dei
    re, con calze di giovinetta al primo amore. E la
    luna,
    anche la luna – sotto il profilo della incantatrice –
    ha messo fili di plastica tra i capelli.

    Giovani elleni cantano canzoni
    allacciati a tubetti di dentifricio bianco.

    Paesi d’acqua e regni. Ossi nei nomi di linguaggi a
    squame.

    Indegradabilità di sillabe

    … e silenzi.

    Isotta – la dolce Isotta – invaghita del nostromo,
    mai più approderà nei calanchi della sera.

    Comprate il mio specifico
    per poco io ve lo do.

    Hai turbato il sonno delle cose. Con i capelli
    intirizziti,
    al fuoco dei lampioni, rivolgi gli occhi vivi alla
    volta vuota della Promessa.

    L’atomo è nella sofferenza.
    L’attimo è nella sofferenza.

    Il mio dash lava più del tuo.
    I frollini del mulino bianco.
    Dixan, aiax, mastrolindo, moulinex.

    Indegradabilità di sillabe.

    *
    Ed ora, seduto su una rimpicciolita stella, ti
    contempli
    nelle sere oleose del porto. Nel cavo di
    supermercati vuoti.
    Nel conteggio di macchine digitalizzate.
    Computerizzate.
    Altro io rizzate.

    *

    Sul canto del grillo giace la sera. Troppi eventi la
    contengono.

    (Isotta – la dolce Isotta – invaghita del nostromo,
    mai più approderà nella calce della sera).

    Un saluto e un augurio di buon lavoro a tutti,
    Matteo Bonsante

  16. emilia banfi

    Grazie a Matteo Bonsante e ad Ennio Abate per queste meravigliose poesie che ci trasportano là dove le tristezze del mondo -dovrebbero- finire con “i fili di plastica fra i capelli”.

  17. Flavio Almerighi

    – Ciao Luna, come stai?
    – Bene grazie, e tu?
    – Non c’è male, si ruzzola…

    Non credo che G.L. intendesse questo col tornare a parlare con la Luna, la principale peculiarità della poesia a mio modesto avviso è la visionarietà, il descrivere un mondo intero da un granello di sabbia, per dirla alla Blake, o dobbiamo piangerci addosso in continuazione perché viviamo tempi di merda? Anche nel Trecento erano tempi di merda, giusto per fare un esempio, ma abbiamo avuto poeti inarrivabili o sbaglio? Negli anni dei nostri migliori poeti Petrarca e Boccaccio imperversò la peste nera che abbattè buona parte della popolazione europea e arrivò in Italia nel 1348, ma non mi sembra che i giganti dell’epoca si siano dimessi da poeti. Signori, senza troppi giri di parole, prendiamola com’è, se non è il poeta ad avere un minimo di visionarietà (parlare con la luna appunto, oppure con un gatto o con chi preferisce) chi può farlo in vece sua? Il poeta è l’unico che sappia indicare nuova strada, senza per questo sentirsi in obbligo di doverla percorrere. Oppure, come al solito e per buttarla in retorica, quando un dito indica la luna, l’ottuso deve continuare ostinato a guardare il dito?
    Cordiali saluti a tutti Flavio Almerighi

  18. Giacomo Leopardi

    XXIII – CANTO NOTTURNO Dl UN PASTORE ERRANTE DELL’ ASIA

    Che fai tu, luna, in ciel? dimmi, che fai,
    Silenziosa luna?
    Sorgi la sera, e vai,
    Contemplando i deserti; indi ti posi.
    Ancor non sei tu paga
    Di riandare i sempiterni calli?
    Ancor non prendi a schivo, ancor sei vaga
    Di mirar queste valli?
    Somiglia alla tua vita
    La vita del pastore.
    Sorge in sul primo albore
    Move la greggia oltre pel campo, e vede
    Greggi, fontane ed erbe;
    Poi stanco si riposa in su la sera:
    Altro mai non ispera.
    Dimmi, o luna: a che vale
    Al pastor la sua vita,
    La vostra vita a voi? dimmi: ove tende
    Questo vagar mio breve,
    Il tuo corso immortale?

    Vecchierel bianco, infermo,
    Mezzo vestito e scalzo,
    Con gravissimo fascio in su le spalle,
    Per montagna e per valle,
    Per sassi acuti, ed alta rena, e fratte,
    Al vento, alla tempesta, e quando avvampa
    L’ora, e quando poi gela,
    Corre via, corre, anela,
    Varca torrenti e stagni,
    Cade, risorge, e più e più s’affretta,
    Senza posa o ristoro,
    Lacero, sanguinoso; infin ch’arriva
    Colà dove la via
    E dove il tanto affaticar fu volto:
    Abisso orrido, immenso,
    Ov’ei precipitando, il tutto obblia.
    Vergine luna, tale
    E’ la vita mortale.

    Nasce l’uomo a fatica,
    Ed è rischio di morte il nascimento.
    Prova pena e tormento
    Per prima cosa; e in sul principio stesso
    La madre e il genitore
    Il prende a consolar dell’esser nato.
    Poi che crescendo viene,
    L’uno e l’altro il sostiene, e via pur sempre
    Con atti e con parole
    Studiasi fargli core,
    E consolarlo dell’umano stato:
    Altro ufficio più grato
    Non si fa da parenti alla lor prole.
    Ma perchè dare al sole,
    Perchè reggere in vita
    Chi poi di quella consolar convenga?
    Se la vita è sventura,
    Perchè da noi si dura?
    Intatta luna, tale
    E’ lo stato mortale.
    Ma tu mortal non sei,
    E forse del mio dir poco ti cale.

    Pur tu, solinga, eterna peregrina,
    Che sì pensosa sei, tu forse intendi,
    Questo viver terreno,
    Il patir nostro, il sospirar, che sia;
    Che sia questo morir, questo supremo
    Scolorar del sembiante,
    E perir dalla terra, e venir meno
    Ad ogni usata, amante compagnia.
    E tu certo comprendi
    Il perchè delle cose, e vedi il frutto
    Del mattin, della sera,
    Del tacito, infinito andar del tempo.
    Tu sai, tu certo, a qual suo dolce amore
    Rida la primavera,
    A chi giovi l’ardore, e che procacci
    Il verno co’ suoi ghiacci.
    Mille cose sai tu, mille discopri,
    Che son celate al semplice pastore.
    Spesso quand’io ti miro
    Star così muta in sul deserto piano,
    Che, in suo giro lontano, al ciel confina;
    Ovver con la mia greggia
    Seguirmi viaggiando a mano a mano;
    E quando miro in cielo arder le stelle;
    Dico fra me pensando:
    A che tante facelle?
    Che fa l’aria infinita, e quel profondo
    Infinito Seren? che vuol dir questa
    Solitudine immensa? ed io che sono?
    Così meco ragiono: e della stanza
    Smisurata e superba,
    E dell’innumerabile famiglia;
    Poi di tanto adoprar, di tanti moti
    D’ogni celeste, ogni terrena cosa,
    Girando senza posa,
    Per tornar sempre là donde son mosse;
    Uso alcuno, alcun frutto
    Indovinar non so. Ma tu per certo,
    Giovinetta immortal, conosci il tutto.
    Questo io conosco e sento,
    Che degli eterni giri,
    Che dell’esser mio frale,
    Qualche bene o contento
    Avrà fors’altri; a me la vita è male.

    O greggia mia che posi, oh te beata,
    Che la miseria tua, credo, non sai!
    Quanta invidia ti porto!
    Non sol perchè d’affanno
    Quasi libera vai;
    Ch’ogni stento, ogni danno,
    Ogni estremo timor subito scordi;
    Ma più perchè giammai tedio non provi.
    Quando tu siedi all’ombra, sovra l’erbe,
    Tu se’ queta e contenta;
    E gran parte dell’anno
    Senza noia consumi in quello stato.
    Ed io pur seggo sovra l’erbe, all’ombra,
    E un fastidio m’ingombra
    La mente, ed uno spron quasi mi punge
    Sì che, sedendo, più che mai son lunge
    Da trovar pace o loco.
    E pur nulla non bramo,
    E non ho fino a qui cagion di pianto.
    Quel che tu goda o quanto,
    Non so già dir; ma fortunata sei.
    Ed io godo ancor poco,
    O greggia mia, nè di ciò sol mi lagno.
    Se tu parlar sapessi, io chiederei:
    Dimmi: perchè giacendo
    A bell’agio, ozioso,
    S’appaga ogni animale;
    Me, s’io giaccio in riposo, il tedio assale?

    Forse s’avess’io l’ale
    Da volar su le nubi,
    E noverar le stelle ad una ad una,
    O come il tuono errar di giogo in giogo,
    Più felice sarei, dolce mia greggia,
    Più felice sarei, candida luna.
    O forse erra dal vero,
    Mirando all’altrui sorte, il mio pensiero:
    Forse in qual forma, in quale
    Stato che sia, dentro covile o cuna,
    E’ funesto a chi nasce il dì natale.

  19. emilia banfi

    EEE sì, Grande Grande un italiano da onorare sempre.

  20. Giacomo Leopardi

    Giacomo Leopardi

    Alla luna

    O graziosa luna, io mi rammento
    Che, or volge l’anno, sovra questo colle
    Io venia pien d’angoscia a rimirarti:
    E tu pendevi allor su quella selva
    Siccome or fai, che tutta la rischiari.
    Ma nebuloso e tremulo dal pianto
    Che mi sorgea sul ciglio, alle mie luci
    Il tuo volto apparia, che travagliosa
    Era mia vita: ed è, né cangia stile,
    0 mia diletta luna. E pur mi giova
    La ricordanza, e il noverar l’etate
    Del mio dolore. Oh come grato occorre
    Nel tempo giovanil, quando ancor lungo
    La speme e breve ha la memoria il corso,
    Il rimembrar delle passate cose,
    Ancor che triste, e che l’affanno duri!

  21. Porca miseria Giacomo , sei talmente forte che mi fai soggezione .
    Tuo
    leopoldo –

  22. Giacomo Leopardi

    «… rovinatasi la vista e obbligato a passare un anno intero (1819) senza leggere mi volsi agli studi di filosofia… mortifere malinconie (…) la mutazione totale in me, e il passaggio dallo stato antico al moderno, seguì si può dire dentro un anno, cioè il 1819, dove privato dell’uso della vista, e della continua distrazione della lettura, cominciai a sentire la mia infelicità in un modo assai più tenebroso, cominciai ad abbandonar la speranza e a riflettere profondamente sopra le cose (…) a divenir filosofo di professione (di poeta ch’io era), a sentire l’infelicità certa del mondo in luogo di conoscerla, e questo anche per uno stato di languore corporale, che tanto più mi allontanava dagli antichi e mi avvicinava ai moderni».

  23. Peppenielle

    Giacumì, e che amma ricere nui, ca a viste ce l’hanne levate primme chille e Berluscone, po chille ro PD, po o prufessore Monti e mo Napulitane e sta specie e demucristiane Letta?
    Tu t’alluntanaste ra gente antiche e t’avvicinast’a chella moderna.
    Nui simm’e finite miezz’ a ggent’e m…!

  24. Posologia per la luna al poeta –

    Impeccabile luna stasera !
    Color frittata fatta in economia
    ha la malia squisita di cosa conquistata
    che non incombe invasiva
    ma si limita soltanto
    ad una passeggiata nella … ghiottoneria

    Sposata all’indigenza adulta e collaudata
    la sua ricetta non calcola recriminazioni malinconiche
    legate alle porzioni ; per contro suggerisce ai commensali
    la necessità di fruirne con distacco
    ma col cuore , da perfetti inglesi

    Così soltanto la luna galeotta – pardon – la frittatina
    sarà durevole gioia sulla tavola :
    sarà il suo gusto sapido di favola
    assunto a poco a poco
    a centellinarne la storia di morgana
    minima sinfonia

    Da “La realtà sofferta del comico” , Aìsara , 2009 –

  25. Ancora qualche poesia sul tema “luna”:

    L’emersione dell’uomo
    fu come l’irrompere del lampo
    nel cuore delle cose.
    Che così accorsero anch’esse.
    Lo spazio dilagò. Gli orologi
    brillarono.
    Agli orizzonti i giorni, gli dèi
    e i desideri.
    E la luna, alta
    – vestale della notte.

    ……………….

    Destino / è questa notte di luna
    che del mondo rasserena ogni profilo.
    La poesia esce in strada e si scoperchia.
    Si specchia nel vasto specchio che non
    rispecchia nulla.

    …………….

    Eri statua ed eri aria
    eri Aprile ed eri luna.

    Tutte le rose e le ciliege dell’anno
    si umettavano al rosso carne della tua bocca.

    ………………

    La poesia vive del nulla
    come la luna, è sospinta dalle nuvole.

    Matteo Bonsante

  26. Li Po

    Canzone sulla luna sul monte O-mei

    La luna d’autunno sull’O-mei
    fa mezzo giro
    dentro il fiume P’ing-ch’iang
    si specchia e scorre via
    Questa notte lascio il Limpido Torrente
    per le Tre gole
    E pensando a te che mai più rivedrò
    per Yu-chou discendo

  27. Anonimo

    Rotola la luna sul lenzuolo del cielo
    a Venezia la gondola dondola
    nella laguna di vetro e di maiolica
    un bianco cavallo a galoppo giunge
    su un tappeto di fiori e una dama
    esce dal quadro, si incontra con Johannes Vermeer
    che ha appena dipinto la ragazza con l’orecchino di perla
    e guarda la luna…
    «che stagione è questa»?, gli chiede
    «è vento di primavera», risponde
    il vagabondo usignolo che canta
    a squarciagola sull’albero

  28. Anonimo

    Dal folto del bosco si affaccia la luna
    Di nuovo è autunno, insieme ondeggiano
    nel vento i corvi
    Sopra la casa dal tetto color cinabro
    canta un usignolo

  29. Po Chu-I

    Sulla stuoia è colore di perla la rugiada
    È onda impetuosa l’ombra della tenda al vento
    Siedo in solitudine: dagli alberi cadono le foglie
    Dentro il cortile com’è chiara la luna!

  30. Giuseppina Di Leo

    a Po Chu-I

    Quel “Siedo in solitudine” racchiude in tre parole tutto l’ascoltare: la perfezione dell’incontro.

    Complimenti!

  31. Luca Chiarei

    In effetti quando ho letto che sul blog di moltinpoesia si invitava a scrivere sulla luna sono trasalito. Ma come? Il blog contro la lirica come unica forma del fare poesia, contro l’intimismo, i temi astratti e fuori dalla concretezza del reale che invita a scrivere alla Luna, il tema lirico per eccellenza? Era questa la meta della poesia esodante? Certamente più esodo che andare sulla luna non si può…poi letta fino ad ora la discussione che si è scatenata direi che tutto è rientrato nella norma… e il tema della luna è stato senz’altro una utile provocazione. Lasciatemi dire della mia ammirazione per la tempestività di tanti interventi senza che questo vada a scapito dei contenuti ma anche, senza fare parentesi, che uno sforzo da parte di tutti di essere maggiormente comprensibili e non solo di scrivere per stupire non sarebbe male. Certamente io sono ignorante, nel senso letterale del termine, come la maggioranza delle persone, dei “molti”, ai quali i poeti/critici e/o critico/poeti non dovrebbero rinunciare di farsi capire.
    Personalmente questa discussione mi ha ulteriormente alimentato i dubbi e le incertezze sul percorso che fino ad oggi ho cercato di fare, sulle mie scelte di lettura e scrittura (questa volta tra parentesi…mi stupisce sempre come alcuni a fronte delle domande poste pongano immediate risposte certe, in versi addirittura…) e questo è senz’altro positivo.
    La poesia esodante in fondo non è anche questo? Non tanto sapere dove si va ma essere in viaggio dalle certezze di qualsiasi tipo?
    Io non avevo nel cassetto nessuna poesia sulla luna, ma neanche sulla Siria, le larghe intese, le detrazioni fiscali o gli sbarchi a Lampedusa…penso che la poesia certamente debba parlare di questi temi (e soprattutto il poeta spendersi per essi e non solo a colpi di versi che ben poco possono fare) e ognuno può farlo utilizzando le forme retoriche che maggiormente corrispondono alla propria sensibilità. Farlo non credo sia una bufala, forse il punto è l’autenticità di quello che si scrive rispetto alla nostra esperienza personale. Se degli sbarchi a Lampedusa la nostra concreta esperienza è solo quella di vederli alla televisione – o leggerli sul giornale che per questo ragionamento è uguale – farne o non farne tema dei nostri versi non fa molta differenza, soprattutto per quelli che sbarcano…
    In questo senso non mi sento di puntare il dito contro chi non trova in ciò un tema di “ispirazione”, anche se il rischio di astrarre la poesia dal reale dove i poeti comunque vivono potrebbe essere maggiore.
    Nella mia poesia ho cercato di ribaltare la prospettiva della metafora della luna e di riportarla sulla terra. Vedete voi cosa ne è venuto fuori.
    Luca Chiarei

  32. Anonimo

    Tramonta la luna, canta il gallo
    Mussolini va a cavallo.

    è una poesia di un noto scrittore del ventennio fascista che ha avuto notorietà anche nel dopoguerra. Ma quello che è importante è che a rileggere oggi il distico, quello che allora era zelo servile del Potere, adesso suona ridicolo e quasi surreale. Ecco come il mutato contesto storico e semantico può cambiare la ricezione del messaggio.
    si potrebbe fare un altro gioco: chiedere a tutti di postare una poesia sul frigorifero o sulla lavatrice… e poi metterci dentro anche la luna, tipo:

    stamattina mi sono alzato, mi sono fatto il caffè
    la barba e mi sono pettinato ma mentre uscivo
    mi si è rotto il portello della lavatrice
    perché la centrifuga ha fato crac
    poi mi squilla il telefono: è il mio amico Sabino
    che è caduto in depressione…
    stavo in apnea quando mi accorgo
    che dall’oblò della lavatrice ne è sortito
    un lenzuolo… lo prendo e l’ho steso ad asciugare
    sul terrazzo
    poi ci ho appeso con le mollette la luna…
    Arrivato in ufficio ho detto al capo
    «che avevo fatto tardi per via della centrifuga della lavatrice
    che si era rotta e che avevo appeso il lenzuolo
    con la luna sul terrazzo», così quello ha chiamato il 113
    e dei maleducati che dicevano di essere poliziotti
    mi hanno portato via…

  33. ro

    ciao, non ti posso ancora postare una mia poesia sulla micro-luna dentro le onde al forno, però credimi, mi è piaciuto molto, anzi parecchio, il tuo intervento. La luna fa impazzire sotto vari aspetti e ci voleva proprio questo aspetto “demenzial”poetico, che poi così demenziale non è. Io non so la tua biografia, ma t’ho immaginato, sicuramente sbagliando, con una mia proiezione lunare della mia stessa biografia. Ci sono crateri di questa luna che forse, in ogni loro sabbia e palude molto mobile, possono comprendere solo coloro che non appartengono alla comunità dei poeti e dei critici strictu sensu, o insomma professionisti del “pensare poesia” o del pensare i pianeti (interiori o fisici o che siano). Se questi possono lanciare come Linguaglossa o Abate e cosi via, argomentazioni più che legittime e robuste sulla crisi o l’esodo necessario alla vita della poesia stessa, paradossalmente nella loro solitudine e/o nella loro relazione sociale,pur se di questi tempi così fragile e liquida anche nella comunità artistica, sono comuqneu piu al riparo…si, condividiamo con loro alcuni denominatori comuni delle sbarre ma chi vive la luna (tanto come il bosco o il fiore, il pulviscolo o la nebbia, o l'”altro”, depresso o fragile etc ) di tutti i giorni non appartenendo né agli uni né agli altri né ad altri ancora, deve aver molta forza di carattere( e anche coincidenze concrete piu”fortunate” delle vita). Finisce che per vivere poesia, in ogni suo aspetto nudo e crudo, sia politico che fantastico, sia che d’impegno che di scherzo che surreale, sei costretto a rimetterti in gabbia ogni volta, perché appena tenti di allargare le sbarre, anche per farci passare qualcunaltro oltre te, c’è qualcuno che le rimette ancora piu strette e fitte.Meglio fargli credere quindi che siamo pazzi da legare in modo da essere piu liberi nonostante ogni sofferenza per il loro controllo, che è piu duro da sostenere laddove sia eseguito dal basso della cella rispetto ai livelli apicali che ne danno l’ordine.

    Non ho precisato questa cosa per considerare le “nostre” lune, come un quid più pesante rispetto alla comunità dei poeti e critici dissidenti qui presenti, ma solo per farne considerare un altro aspetto come hai fatto tu, nell’inversione continua delle parti.

    un saluto.

  34. Anonimo

    cara rò, ti posto quest’altra poesia sulla luna:

    torno dall’ufficio, squilla il telefono:
    è Sabino, mi dice che ha vinto il premio
    Città di Marineo, io gli faccio gli auguri
    gli dico che dobbiamo festeggiare,
    poi mi butto in poltrona e leggo le notizie della
    cronaca sportiva, stappo una bottiglia,
    tanto il realismo è finito, il surrealismo anche,
    la politica fa schifo, la crisi imperversa, e poi c’è
    la guerra di Siria, Hassad ha gasato
    (dicono gli Stati Uniti) 1500 tra donne e bambini,
    sta per scoppiare un mega conflitto sul conflitto,
    poi c’è la questione della service-tax
    e dell’aumento di un punto percentuale dell’Iva, della
    decadenza di Berlusconi dal Parlamento…
    allora, gli dico, sì, andiamo a cena con Onorio,
    il direttore editoriale, poi c’è
    Belisario, il suo generale e Raf Vallone,
    il correttore di bozze e lettore della casa editrice,
    c’è anche la psicologa Circe, la maga che
    parla con la luna, quella
    che fa diventare gli uomini porci, in realtà
    è una ninfomane che ogni volta che c’è la luna ha le fregole
    e ti salta addosso specie se sei un maschio peloso
    che però deve aver letto almeno 8000 libri
    (come ha detto Valerio Magrelli), perché, dice
    «un maschio deve anche essere un intellettuale»,
    io le rispondo che «ho un debole per la luna, che
    amo la luna e il chiar di luna e che non ho alcuna
    intenzione di ammazzarla» e via cantando, ma Onorio
    mi risponde che oggi ci sono argomenti ben
    più importanti della luna e che a lui non gliene frega
    un bel niente della luna e delle stelle
    e che preferisce fare poesie sull’oblò
    della lavatrice e sul frigidaire, «ahimè», dico io
    «ma questo è la morte del canone!»; «e ben
    venga la morte del canone e dei canonieri!»,
    si imbizzarrisce Raf Vallone, allora non resisto
    e dò un ceffone al Vallone e quello mi dice
    che sono un 5 stelle e 5 lune e che sono uno
    stupido cinquino che deve ancora
    leggere i fatidici 8000 libri di magrelliana
    memoria…
    Beh, che volete che vi dica, la serata è andata
    alla malora per via di quella zoccola di Circe, del lettore
    Raf Vallone e di Marco Onorio e
    del suo poeta preferito… ma, insomma, adesso
    sono stanco, mi butto sul letto e
    rileggo la poesia che ho appena scritto sulla luna
    e me ne vado a dormire…

    ti posto quest’altra poesia sulla luna:

    • Più che una poesia sembra una telefonata. E’ tutta telefonata ( 🙂 ) ! …X *** ah, il gatto sulla tastiera
      Anonimo, prova con l’11 settembre, dai. A me non è uscita una parola, a quel tempo ne feci un astratto. Chissà Picasso che avrebbe fatto, il suo Guernica fu un buon lavoro
      Ciao

  35. Anonimo

    …posto, come dicevo, quest’altra poesia;
    «su che cosa?», mi chiede Onorio, «ma sulla luna!»
    «e perché proprio sulla luna?», «mah, perché così dice il guru
    Linguaglossa», «ma dai, lascia stare il Linguaglossa!»
    replica Raf Vallone «che non è neanche il peggio
    del peggio!», «no – dico io -lui è più responsabile
    di altri!, è un critico!, guarda come ti ha ridotto il De Signoribus,
    in verità è un menagramo… scrive contro tutti
    dice che la crisi è grave e che anche lui
    non sta tanto bene, che ha la febbre,
    ma lui li ha letti i fatidici 8000 libri di magrelliana memoria?,
    non credo, se ne ha letti 80 grasso ci cola!»;
    a questo punto la televisione dice che lo spread è a 268
    e la borsa cala a – 0, 47, morto che parla e io mi faccio
    un caffè e torno in poltrona…
    «ma insomma, io credo che il Bus, cioè il De Signoribus
    è un buon poeta, lo hanno scritto anche Giudici e Bonnefois,
    ma che vuole quel menagramo di Linguaglossa?…»
    … allora, dicevo, qui c’è bisogno della luna,
    dobbiamo ficcarla in un commento sul post
    “Poesie sulla luna” nel blog diretto da Ennio Abate,
    e allora dico che la luna nel ciel sta e brilla
    e saltella di qua e di là, che è una frittata
    come dice Leopoldo Attolico che ha sempre appetito
    ed è un fan di Vito Riviello e Totò,
    la luna, la luna, non amo nessuna luna
    non mi piace la frittata, preferisco il caviale,
    una braciola di maiale… non mi piace la luna
    a fette né quella piena, non amo la luna, ecco tutto
    né il chiaro di luna né la notte senza luna…
    NON MI PIACE LA LUNA!!!

    • ro

      premesso che non capisco le obiezioni di Lucio, a meno che voglia dirci nel suo modo che questo spazio non è quello dedicato al dibattito (ergo che dovremmo spostarci nel post apposito?)…
      premesso che potrei non capirlo perché più in generale sono ignorante dei canoni strettamente poetici, ma non così tanto ignorante da poter dire quando si e quando non… si sia nel “verso” giusto,

      devo purtroppo rinviare a stasera un dialogo un po’ più ricco come impone la presenza del nostro Eduardo (posso chiamarti così caro anonimo?)…non è per questioni che di raf(fa) e di raf(fa) si impongono per certe associali cinematografiche teatrali, né per renderti sembiante, dentro la mia mente, al grandissimo “de filippibus”…tu sei tu, è fuor di dubbio, ma la tua conclusione sul qui presente e anche assente presepio lunare è magistrale!!!! tanto che se vincent passasse da queste parti, mi sa che ti vorrebbe come “maestro” delle sue supernova tutte calde ( e non cadere nell’errore che vi sia alcun accenno erotico “circense” :-))
      a piu tardi, lulù luna e lucio permettendo..Ciao Eduà!

  36. ro

    ps
    associali??? ma che roba è?
    forse volevo scrivere associate

  37. Sarà vero che il poeta trovandosi tra l’alto e il basso
    preferisca ciò che si legge a ciò che si guarda appena?
    E che poeta è quel che le parole va cercando
    ma con gli occhiali?

    Coi miei saluti a sua eccellenza de filippibus.

  38. Anonimo

    cari amici lunari, posto quest’altra poesia

    Tramonta la luna, canta il gallo
    Berlusconi va a cavallo: oggi i sondaggi
    lo danno al 28% e il PD al 26% e io che vivo
    come Montale al 5% mi sa che non me la passo tanto bene;
    Ennio Abate non si smuove da suo marxismo
    Linguaglossa dal suo linguaglossismo
    De Signoribus dal suo teologismo
    Raf Vallone dal suo parossismo
    Marco Onorio dal suo solipsismo,
    il primo è esondante, il secondo è un
    parnassiano della forma, dice che la poesia è in Crisi
    e di lì non si smuove, Bonnefois dice
    che il Bus De Signoribus
    è un grande, che scrive come Dante (Alighieri non Maffìa)
    Leopoldo Attolico prende le distanze
    e dice che è vero a metà quello che dice il
    critico Linguaglossa…
    fatto sta che la luna tramonta nella Belligeranza
    e il Magrelli che ha scritto un libro sul papà
    ce l’ha col ’68 e i sessantottini
    che sono finiti nelle Istituzioni
    ma lui che non è sessantottino, dove è finito?
    all’Università?, ma lui non scrive poesie sulla luna
    perché una persona seria, scrive di Irap e di Irpef
    e della scadenza del Bollo della macchina, delle detrazioni
    e delle deduzioni sul 730, ma Linguaglosa dice che è
    un minimalista perché non scrive poesie sulla luna,
    io invece dico che va bene così, e così
    scrivo sulle “i”, tutte le parole che hanno le “i”
    come ad esempio «chicchirichi!» e «pipì»
    e «tiritiritì», «rintintin»…
    «oggi siamo qui, al punto dell’a,b,c…», lo interrompe
    Ennio Abate «voi non siete poeti esodanti
    siete dei menagrami, degli esondanti!»
    «Ohibò» dice invece Raf Vallone «io scrivo sul Rio Bo»,
    «e vabbè» risponde Marco Onorio «io scrivo del bidè»,
    tanto il realismo è finito in cantina e anche la
    poesia degli oggetti non sta poi tanto meglio
    visto l’ultimo libro del Cucchi (che verte sul papà,
    come trent’anni fa)… «Ecco quello che non va – mi dice
    Marco Onorio – ciascuno fa quel che sa»…
    «E la poesia sulla luna?», chiede Belisario,
    «chi lo sa» replica il Linguaglossa «la poesia forse
    sta sulla luna e là ci resterà»; «ma questa
    non è una poesia sulla luna!, voi mi menate
    per il naso!», grida Sabino… «eh, no!, ti sbagli
    anche questa è una poesia sulla luna», replica
    il Linguaglossa meditabondo…

    • ro

      Spero che Lei signor De Filippibus sia consapevole della sua colpa (colpa assolutamente diamantina, claro!) ..la distrazione che lei reca è al contempo nebbiosa e stellata. Lei normalmente come lavoro fa la lanterna? Ben inteso Signor De Filippibus, lei può rispondermi anche che costruendo lune ammobiliate, o paralumi che vogliano dir gli umani, non ritiene affatto conveniente continuar fino alla notte( ma leggi anche crisi) a smontar e rimontar altre lune e lanterne,,,tuttavia sempre troppo fretta mi stringe e devo salutarla, però prima della luna o di stasera potrei distrarmi ancora, perché mi chiedo:non è che lei per caso sia due fantasmi in uno? in carne Edoardo e ossa Nougé ? Le faccio notare un ultimissima cosa, dettagliuccio numerico-temporale e pure settimanale. Di aspetto, molto, o molto poco d’avanguardia o surreale, veda lei. Tutto ‘sto po po di luna sì e luna no(un po’ come i suoi cicli e pure motocicli e trattori) venne fuori per un’altra “colpevole” come lei Signor De Filippibus, ma “abitante” della luna per sua stessa dichiarazione di residenza.Dove per “sua” intendo la residenza dichiarata da Emilia Banfi in quella pagina o post di Abate che conteneva la poesia di Emy. Venne fuori da lì tutto questo presepio lunare …Dalla tredicesima luna di 20 abbondanti giorni fa, ad oggi, in cui di nuovo siamo in un bel tredici lanciati verso un’altra piena (e la cosa strabiliante è il post che ha fatto Abate nuovo nuovo con Franco Toscani. ha letto che capolavoro di temi e sincronicità a queste sue di oggi?….

      ps
      manca una cosa, che solo lei può fare. Convincere il suo Raf a un film sui pirati, prendendo spunto guarda caso da …La maledizione della prima luna, ma ribaltandolo a surreale come fosse Buñuel; oppure potrebbe finalmente parlarci di una luna che nonostante tutto (dove tutto sta anche nel piacere di aver letto poesie su ogni tipo di luna) manca all’appello perlomeno in questo post. Nessuno ha avuto per ora il coraggio di fiatare sulla luna che non precipita su un vicino campo di guerra(andrebbe bene anche fosse una luna lontana, di un campo lontano nel tempo e nello spazio)… su come vorrebbe toccarla un bambino morente che ha perso le mani e sta finendo il sangue, oppure un soldato intrappolato nella fine…Ciononostante passo repentinamente per contrasto ad altra luna inesplorata, non è assente solo la luna di guerra e nemmeno il grandissimo Po Chu-I si è cimentato in tale dolce variazione lunare. Capisco gli altri che hanno forse come me un certo timore, ma lei che è sicuramente il piu centauro potrebbe poetarci sù.Visti i cicli, motocicli, trattori lunari etc etc si potrebbe pensare a un suo passaggio almeno su un Ape spazile. Insomma ci dimenticheremo mica della luna di miele? come vede il tema è serissimo e può affrontarlo solo Lei. 🙂

  39. Laura Canciani

    al Signor De Filippibus,

    devo ammettere che mi sono molto divertita con le poesie che lei ha postato, davvero, le ritengo molto superiori a quelle del Bus De Signoribus (il quale recita a fare il poeta stanco e erratico anche quando mangia un sandwich), finalmente qualcosa in cui ci si respira, ci si può muovere tra le parole come in mezzo a una tarantella in completa libertà, ridendo e scherzando… ma lei è un poeta vero, lo sa?, lei ha delle qualità straordinarie, ma ha mai pubblicato un libro di poesia?, le ha mai mandate a Mondadori o all’Einaudi? – no, non le stiamo chiedendo di svelarci la sua identità, vorrei solo sapere se lei è un poeta, diciamo, di professione come il prefato tanto osannato dalla critica italiana, o se giullareggia come faceva il saltimbanco Palazzeschi.
    Insomma, non vorrei apparire importuna, ma lei è un poeta?, ama fare poesie senza capo né coda?, è sempre così faceto? – anche se devo ammettere che le sue composizioni mi sembrano cose serissime…

  40. @ Abate, Linguaglossa, Lucini etc.

    Poesie alla luna o sulla luna… e perché non poesie al COSMO o sul COSMO?

    Parlare al COSMO credo che suoni molto bene. Perché è come parlare a se stessi! O a Dio.

    Ed allora in questo senso e in aggiunta alle poesie sulla luna inserite nei due blog, ecco ancora un mio piccolo contributo: ECLISSI, apparsa in BILICO pubblicato nel 1986.
    Intanto confesso che ho letto qua e là alcuni interventi e continuo a credere che finché si continui a parlare in astratto (operazione legittima, va da sé) tutto sembra ‘funzionare’ relativamente ai fini che lo scrivente ha in mente. Non potremmo cambiare ‘metodo’ e cominciare ad analizzare (ognuno come meglio crede) le varie, o almeno alcune, poesie proposte? Sia per mostrare perché si accettano oppure perché si negano?

    Propongo ECLISSE e chiedo esplicitamente ad Abate, a Linguaglossa, a Lucini, a rò, a Emy (insomma a chi vorrà) di dire se questa mia lirica, per dirla con Linguaglossa, ‘sorprende’… in senso positivo oppure negativo, e perché.

    ECLISSE.

    Un sudore di paura ha imperlato gli uomini.
    Ormai tutto potremo credere possibile.
    Archiloco.

    Nel raglio d’asino, carica di festuche, la terra
    si inarca nella sua eclisse. nel fresco piegarsi
    del giorno.

    Eclisse.

    Il vento si insinua radente all’aprirsi del
    l’ aria.

    Restiamo sul bilico di un più ampio respiro.

    Eclisse.

    Incontinenza tra cupole che girano senza domani.

    E c’è odore di pietra, odore di zolfo, odore
    della forma più pura delle altezze… su vasti tetti,
    nella grande cisterna che – fucina di sghembi
    balconi –
    gira in vapori di assenzio e giusquiamo.

    – Fiordi di pittosporo illanguidiscono estreme
    opalescenze.

    E la pietra schiaccia la pietra. Il volto ricerca il
    volto. La foglia d’acanto della felicità, chiusa nel
    gelo della sua purezza, ha forma e misura di
    domani…
    Su vasti tetti.

    Eclisse.

    Sospensione del desiderio.

    Maree notturne in schiocchi di scalmi hanno
    squassato l’ufficio legale del giorno. Nei soppalchi
    di cristallo i guardiani del silenzio dischiudono
    scalee nelle assenze. Il dito sulla bocca.

    E tutto è immobile contemplazione
    tra secchi ricolmi di bianco latte.

    – Riformuleremo nuove certezze sulla sintassi dei
    cieli con nomi e sestanti d’alito?

    Eclisse.

    Il grande Tiresia – signore di molte stagioni – ricco
    di squame, ha coperto con neri montoni le sue
    meraviglie. Ci porge in dono la notte – il fondo
    buio del cuore – e voci d’ombra.
    E già i conciatori di pelli e i cacciatori di tigri
    gridano da riva a riva. Si accalcano
    i seminatori d’orzo. Squillano i metalli delle
    ellissi e l’istante, lento e incombente (insondabile)
    è tutto nel peso della sua presenza… su vasti tetti.

    Eclisse.

    Scienza dell’anima.

    Scivolerò con rude arte nelle piramidi di
    un’antica cabala. Nella forma più pura
    del sorgere delle stagioni. Più vaga della esalazione
    del fiore nel suo marcire. Più fonda
    della esaltazione dei venti sui loro fragili steli.
    Tra sete e canto.

    (Spore del desiderio – guardinghe nella loro cipria –
    si sfaldano in uve nere. Arcipelaghi di corrusca
    saggezza vagano in fiordi di salgemma per formare
    con le campanule del temporale il cuore del corallo
    marino). Il cielo è nelle acque.

    Eclisse.

    L’occhio del rapace squilla lungamente sui balconi
    del mondo.
    Si alza il vento.
    Sulla terra.

    *

    A un attimo dal nulla il domani resiste.

    …………..
    Aggiungo che ECLISSE è stata scritta in occasione dell’ultima eclisse totale riguardante l’Italia cioè nel lontano 1961. Cioè due anni prima che nascesse lo sciagurato gruppo ’63 ! Devo confessare che fino a oggi – tranne un solo critico, non ha ‘impressionato’ nessuno.

    Anche con questa ‘riproposta’ continuerà a non impressionare nessuno? S’intende in positivo o in negativo?
    Resto in ascolto.

    Un caro saluto e buona poesia a tutti,

    Matteo Bonsante

  41. Guardi signor Bonfante, a me sembra che lei si delizi un po’ con le sue stesse parole. Non so come riesca a creare questa sensazione… di sovraffollamento, anche in cotanta ampiezza di visione. Ho il sospetto che lei cerchi nella poesia l’estasi, che per quel che mi riguarda sarebbe anche tra le più nobili delle qualità, sempre ammettendo che uno se le possa scegliere. Questa poesia sembra scritta per essere pronunciata, non letta. Le parole hanno l’eco delle navate delle chiese, e sebbene non ci scorgo intenti moraleggianti o sentenziosi, pare comunque che starebbero bene tra i pensieri (che sono parole pronunciate) di chi salisse o scendesse dal pulpito, e magari anche fuori dal tempio mentale proseguisse se non ci fossero troppe faccende da sbrigare. Comunque, che aspettino.
    Soffittature barocche. Ma grazie, quanti doni elargisce la penombra… l’eclisse.
    Ps. avrà notato che ho usato per ben due volte i puntini di sospensione: sto indagando…
    Parola di etc.

  42. Anonimo

    dedicata a ro’

    «beh caro Raf Vallone, sei stato un gran villano,
    te la sei presa con il Linguaglossa il quale
    è un critico che vale, gli hai detto: “scrivo sul Rio Bo”;
    beh, questo lo so, è un po’ fuori luogo,
    non è il modo di rivolgerti a un critico di rango»,
    tu dici: «la luna di Cefalù sta appesa lassù
    con la testa tonda all’ingiù, dimmi, che fai tu luna
    lassù a Cefalù, che vai per gli orti
    e i porti e mangi caucciù?…
    che ne dirà il filosofo Bertoldo,
    che ne dirà Maffìa?»; «ecco, sei uno screanzato,
    un maleducato, uno stolto, vai via,
    ci mancava anche il Bonsante!».
    Dopo questa reprimenda ecco Raf che fa ammenda,
    chiede scusa e si raccomanda:
    «chi vuol esser lieto sia, con la luna
    vado via, vado via su Rio Bo…»;
    «eh, no, caro Raf, non puoi scriver su Rio Bo
    non puoi dire io non ci sto,
    c’è la luna sul Rio Bo
    che brilla e strilla a chi non può
    scriver su di ella… è la luna, è sempre quella
    ed è bella così com’è, peggio per te
    se non scrivi sulla luna puoi scriver su di te.

  43. Giuseppina Di Leo

    Posto un’altra mia fresca fresca, dedicata a quanti sanno ancora incantarsi al suono delle parole.
    La poesia di Bonsante a me, come a Lucio Mayoor Tosi, ha dato questo.

    ARTEMIDE

    Mi faceva sorridere sempre attenta
    com’era veloce con gli archi e con le frecce
    dal nascere del sole alla sera

    Era della sera attesa la quiete
    nei ventagli delle foglie si apriva un varco
    allora nelle acque la sete placava.

    Vederla dall’alto mi appagava
    dall’essere sole. Dall’una all’altra
    fummo entrambe Luna.
    (13.09.2013)

    Mi piacerebbe sentire il vostro parere sulla mia, grazie.
    giuseppina

  44. Letizia Lanza

    Trittico lunare

    Selene 1

    Lucida luna
    di cinabrea roccia.

    Occhi che
    guardano –
    e un po’ sorride
    il viso.

    Mulier astrale
    in cielo di
    cobalto.

    Selene 2

    Pallida luna
    di cinerea sabbia.

    Scrutano gli occhi
    dei crateri spenti.

    Cercano l’uomo –
    da un mare di smalto.

    Scuro di luna

    Neri fantasmi
    sub falce d’acciaio –
    a sfioro di mare.

    Danza di morte –
    su mala oikoumene.

  45. Giorgio Linguaglossa

    mi sembra che l’elemento importante da cogliere nella poesia di Giuseppina Di Leo è l’attenzione per la struttura ipostatica della sua composizione (lunghezza delle parole, accenti, pause, velocità del suono delle parole, etc.) e la indirezione del discorso, cioè l’attaccare qui il discorso per portarlo di là senza dare dei punti di riferimento al lettore e per costringerlo a seguire la poesia passo passo.
    Similmente accade nel gioco del calcio moderno quando un allenatore fa giostrare i suoi tre attaccanti scambiando loro di continuo la posizione in campo in modo da non dare ai difensori avversari alcuna possibilità di orientamento.
    Direi che la tecnica di indirezione è un procedimento (tra i tanti) fondamentale per la poesia moderna. E bisogna saperla usare.

    • Giuseppina Di Leo

      Caro Giorgio Linguaglossa,
      sebbene sia a totale digiuno delle regole calcistiche l’accostamento della mia composizione ad un gioco di squadra, attraverso la “tecnica di indirezione” mi piace proprio.
      In merito ad Artemide aggiungo che è una poesia nata di getto, compiuta come forse il mito – per quel poco che ne so – sa essere.
      Grazie.

  46. ro

    una dedica senza capo né coda a tutte/i..(co-mossa e grata della dedica del signor De Filippibus)

    mi scuso con De Filippibus, così pure con Bonsante e Di Leo, di cui la candida colpa è bene descritta tecnicamente da Linguaglossa. Per una lettrice senza ulteriori specifiche, ruoli e parti quale io sono, mi trovo disorientata, piacevolmente sia chiaro. L’intervento di De FIlippibus purtroppo è quello che in queste code lunari dal 22 agosto ad oggi, mi ha più rapito e questo so quanto mi condiziona pur non volendolo.

    Sembrerebbe, il De Filippibus, più “scenografico”, nel senso pieno del teatrale imposto da questa scena cosmica che si è venuta a creare via via in questo poetario planetario, in cui ovviamente c’è posto per tutti e dunque infatti , dopo una piccola stasi, ieri sicuramente De Filippibus ha avuto il merito di far ritornare nuovamente un certo movimento in questo cielo…. ma d”impatto teatrale vero , per come vivo io questo spazio lunare, sono tutte le comparse e ricomparse di pianeti che finora, come ad esempio lamenta Bonsante, sono stati visti da pochissimi. La vera difficoltà dalla mia poltroncina s’intende, è mettere in relazione tutte queste parti, che finiscono inevitabilmente ad essere senza una relazione l’una con l’altra…faccio un esempio per spiegarmi. Quando leggo una raccolta di autori vari, non ho la difficoltà in cui sono incorsa via via in queste pagine lunari, pur avendo augurato per prima una racccolta, editata da qualche imprenditore volenteroso come Lucini et simili…..

    M’immedesimo forse troppo in chi è passato di qua e non è stato “visto” ma non so se ognuno , poeta o non poeta, è pienamente consapevole che uno dei privilegi della luna è che non esiste uomo che non l’abbia veduta, ma così non vale al contrario per gli umani e credo che rientrando le/i poeti in questa specie, pochi possano sopportare l’evoluzione necessaria da pianeti visibili come la luna a pianeti invisibili, che ugualmente sono ed esistono…

    non so se sono riuscita a spiegarmi..deve essere stata la sovraesposizione richiesta che mi sta facendo riflettere su tanti altri pianeti.

    un affettuoso saluto a tutte/i

  47. Peppenielle

    Scennite ‘ncoppa sta terre!
    Verite ca Astolfo nu vene n’ata volta n’coppa a luna
    pe recuperà e cirvielle perse…
    E si là arriven’e n’ata vota e ‘mericani
    so’ …. vuoste!

  48. Rita Simonitto

    @ Giuseppina

    Non solo molto bella e armoniosa nel ritmo, ma anche interessante questa tua poesia che, attraverso il titolo, ci porta al mito di Artemide, dea dell’ambiguità (*). Nello svolgersi dei versi, ci viene illustrata come in una condensazione onirica, la visione del doppio volto della Luna, quella evidente e quella oscura, nascosta : * Vederla dall’alto mi appagava/dall’essere sole. Dall’una all’altra/fummo entrambe Luna.*

    (*) Artemide era divinità celeste, lunare, e divinità terrestre; dea protettrice della caccia e anche protettrice degli animali; dea della vita – aiutò sua madre a partorire il fratello Apollo – e dea della morte; aveva tratti maschili – esperta nella caccia – e femminili – deliziosa compagna di giochi con le ninfe -.

    Brava e ancora brava.
    R.S.

    • Giuseppina Di Leo

      a Rita Simonitto
      Proprio in virtù dello sguardo obliquo, già menzionato altrove nel blog, anche ciò che è meno visibile si palesa. Grazie e ancora grazie!

  49. Lucia Gaddo Zanovello

    Lucia Gaddo Zanovello (testo inedito)

    Alia

    Un pertugio di calicanto insidia il muro al gelo
    sotto la bianca luna scritta di desideri
    quando leva in cielo il tondo sguardo
    sulle chiarite notti sibilline.

    Resta appesa un’attesa che vede
    i luoghi smarrire
    nel deserto vago dell’irresoluto.

    Pulsa sospesa
    nel flusso stretto dei bilanci
    nel cono d’ombra della rimanenza
    esulcera
    nell’ora aliena della quiescenza inquieta.

    Reingravida il cilicio dei sarà
    quest’altra storia.

    Non riaffaccia il viso della gente
    un suo sorriso
    sta nel quadro del ricordo
    senza peso fisso
    al velo del respiro
    che ribagna in gola
    parole reglutite nel silenzio.

    Incredule stagioni ruotano sine die
    lontano dalle grida eterne dei fanciulli.

  50. SABBA

    Brilla l’acqua all’occhio della luna
    tratta in verticale su dal fango
    un tremolio di schiume che ribolle
    e scoppiano gli inchiostri, le bombarde
    come le streghe un sabba scatenato
    un tango con la scopa, un bel fandango
    coi diavoli vestiti da Cagliostri
    a far suoni dissonanti e la grancassa
    “balla che ti passa” coi tamburi
    ai fischi striduli ai fagotti
    baccano strepitoso e surreale
    mentre tutto tace
    lassù
    chiaro immobile reame
    cupreo cielo, ambra fumigante
    di nubi che brade sciamando
    disegnano convulse il divenire
    e sulla terra albedine soffusa
    sui crinali delle montagne azzurre
    farina d’antimonio, bianca luce
    illimpidisce e chiama
    l’intrinseco segreto di ogni cosa…

    (Marco Onofrio, da “E’ giorno”, EdiLet, 2007)

  51. Ennio Abate

    Copio una poesia di Franco Fortini. La propongo perché c’è la luna (nell’ultimo verso) ma c’è la storia (l’orrore della storia)…

    *
    FRANCO FORTINI:
    Dopo una strage
    da Lu Hsun

    Le notti lunghe di primavera le passo ormai
    con moglie e figlio. Fragili alle tempie i capelli.
    Vedo in sogno imprecise lacrime di una madre.
    Sulle mura hanno mutato le grandi bandiere imperiali.
    Vite di amici diventano spettri, non resisto a vederle.
    In ira contro siepi di spade cerco una piccola poesia.
    Non lamentarsi. Chino il capo. Non si può scrivere più.
    Come acqua la luna illumina la mia veste oscura.

  52. Luciano Nota

    Bosco Cappuccio
    ha un declivio
    di velluto verde
    come una dolce poltrona

    Appisolarmi lì
    solo
    in un caffè remoto
    con una luce fievole
    come questa
    di questa luna

    Giuseppe Ungaretti

  53. ro

    Ma non fia per questo
    che da codardo io cada: periremo,
    ma glorïosi, e alle future genti
    qualche bel fatto porterà il mio nome.
    Iliade, XXII, 304-305(Ettore prima del duello con Achille)

    IL PALLIDO GLOBO

    Do un nome ai minuti
    perché si muovano più lenti.
    Anche stasera la luna
    si annuncerà
    col suo pallido globo
    al bimbo che sogna
    di sbarcarvi sopra
    per trovare
    dove si nascondono le Parche
    che srotolano lo stame
    della vita,
    la Mente che ha creato le stelle,
    l’angolo in cui è stato sepolto
    lo scudo di Ettore…

    Rino Passigato
    http://www.clubautori.it/

  54. Gabriele D'Annunzio

    da “Lungo l’Affrico nella sera di giugno dopo la pioggia”, in Alcione

    Nascente Luna, in cielo esigua come
    il sopracciglio de la giovinetta
    e la midolla de la nuova canna,
    sì che il più lieve ramo ti nasconde
    e l’occhio mio, se ti smarrisce, a pena
    ti ritrova, pel sogno che l’appanna,
    Luna, il rio che s’avvalla
    senza parola erboso anche ti vide;
    e per ogni fil d’erba ti sorride,
    solo a te sola

  55. PRESENTO QUI UNA POESIA DI ENOMIS

    CICLI BAROCCHI
    Rappresentazione di luna rappresentante fiore e viceversa: nel mezzo la vendetta furtiva

    Forse la massima rappresentazione
    è fornita dal ciclo sempre simile
    della luna sorridente,
    sempre simile a se stesso
    e simile all’universale comune
    e contingente: (uno) spesso
    sorriso che sboccia
    improvviso su una tela lontana
    come uno squarcio su un viso,
    che poi si allarga e si spalanca
    e si gonfia in un’ululante riso,
    come un pus su una ferita,
    causata inavvertitamente su un ucciso
    da un ladro mai identificato
    e già da sempre in fuga,
    fuga che cresce melodiosamente
    fin al punto che il rumore si confonde
    col dolore, per, finalmente,
    dopo aver raggiunto l’apice,
    ridiscendere e raffreddarsi
    decrescentemente in un sorriso
    fino a ricomporsi in questo armonico viso,
    ora offuscato dal nuvoloso nottambulo cielo,
    per finalmente implodere, nuovamente, sullo scuro telo,
    per la costanza di un rinnovato ciclo

    Ma ricordiamoci sempre
    che la luna costantemente
    mente:
    quando è C è decrescente
    e quando è D è crescente
    Futile specchio irriverente?
    È essa
    riflessa
    di fiore ipnotizzante?
    Fiore che si rigenera antiorariamente
    nella spirale iridescente,
    specchio invertente di questa cangiante luna,
    fiore intermittente nella tela scura,
    sempre la stessa e sempre la diversa

    Ora che si conosce il ciclo, si ha ancora paura?

  56. Johnk19

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