Caro Ennio Abate,
quando dico che dobbiamo leggere e interpretare la poesia tenendoci a distanza
da categorie dell’economia come rapporti di produzione e forze produttive e
economicistiche come salario e capitale, non intendevo certo fare ritorno a
Croce al concetto di poesia=lirica pura; dico soltanto che dobbiamo leggere la
poesia come un particolare genere, come dire, una particolare forma di
linguaggio, ed è soltanto applicando le categorie del linguaggio che noi
possiamo entrare dentro la serratura della poesia e dentro la cassaforte del
Moderno. Non occorre la dinamite per far saltare il Moderno ma basta una poesia
per cambiare le carte in tavola di ciò che si intende (comunemente e
convenzionalmente) per poesia. I «conflitti» in poesia devono potersi rintracciare
all’interno del suo dispositivo estetico e poetico, questo voglio dire, e non
all’esterno. I conflitti esistono nella forma poetica come «traccia», orma
mnestica; e, a volta sono invisibili ad intere epoche. Voglio dire che tanto
più alta è la formalizzazione dei testi quanto più in profondità scendono i
«conflitti». Insomma, il discorso è complesso e poliedrico e andrebbe
inquadrato da differenti punti di vista ermeneutici.