Archivi del mese: febbraio 2013

Come leggere e interpretare la poesia. Due opinioni a confronto.

discussione
Riprendo da qui un commento di Giorgio Linguaglossa e rispondo alle sue tesi. [E.A.]
 
* Linguaglossa ad Abate


Caro Ennio Abate,
quando dico che dobbiamo leggere e interpretare la poesia tenendoci a distanza
da categorie dell’economia come rapporti di produzione e forze produttive e
economicistiche come salario e capitale, non intendevo certo fare ritorno a
Croce al concetto di poesia=lirica pura; dico soltanto che dobbiamo leggere la
poesia come un particolare genere, come dire, una particolare forma di
linguaggio, ed è soltanto applicando le categorie del linguaggio che noi
possiamo entrare dentro la serratura della poesia e dentro la cassaforte del
Moderno. Non occorre la dinamite per far saltare il Moderno ma basta una poesia
per cambiare le carte in tavola di ciò che si intende (comunemente e
convenzionalmente) per poesia. I «conflitti» in poesia devono potersi rintracciare
all’interno del suo dispositivo estetico e poetico, questo voglio dire, e non
all’esterno. I conflitti esistono nella forma poetica come «traccia», orma
mnestica; e, a volta sono invisibili ad intere epoche. Voglio dire che tanto
più alta è la formalizzazione dei testi quanto più in profondità scendono i
«conflitti». Insomma, il discorso è complesso e poliedrico e andrebbe
inquadrato da differenti punti di vista ermeneutici.

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Cesare Viviani, Poesie. Con una nota di Giorgio Linguaglossa.

da “Infinita fine” Einaudi, Milano, 2012

Ha avuto il coraggio di sporgersi dal trono
il monarca,
di sporgersi da un lato
tanto da assumere
una posizione ridicola, non so
se lo faceva per scoprire qualcosa
sulla fascia esterna del trono
o perché si era stancato del cerimoniale.
Poi nella festa parlarono tutti, nessuno taceva,
parlavano, parlavano,
parlavano anche
del percorso di torrenti e fiumi,
dai monti al mare.
Intanto bevevano, bevevano,
alcuni fino a stordirsi.

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Rita Simonitto,Otto poesie.

Il falso muove e vince in poche mosse

Cresciuti tra zanzare e DDT e i tossici amianti
(eppure seducenti al nostro invincibile Walhalla,
la lotta al drago-fuoco sconfitta da una foglia),
e i manifesti di bimbi martoriati dalle caramelle/mine
venute giù dal cielo, la atroce manna dei liberatori…

Credi che solo là si siano aperte le ferite?

O non invece nei crepacci, abissi dove la verità si sperde,
eppure pieni di appigli e sponde cui aggrapparsi,
anche se poi con rovina resi bianchi gli occhi
dal buio persistente che confonde il nemico
con l’amico ecco l’ignavia che sempre si ripete?

(04.08.2011)

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SEGNALAZIONE: www.robertoroversi.it

roversi-morto
Quanti vogliono conoscere o approfondire la poesia di Roberto Roversi dispongono  da qualche giorno dei materiali che verranno pubblicati sul sito   a lui dedicato: 
dal quale ricopio la pagina d’intenti. [E.A.]
La famiglia di Roberto Roversi – nella persona di Antonio Bagnoli – invita il collettivo Bartleby e l’Università di Bologna a dialogare per trovare una soluzione condivisa e istituzionale che, al di fuori da qualunque uso strumentale del nome e della figura di Roberto Roversi, consenta il proseguimento del prezioso lavoro di catalogazione della parte del “fondo Roversi” in possesso del collettivo, e la sua conseguente massima fruibilità da parte del pubblico.

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Ennio Abate, “Laboratorio Moltinpoesia di Milano” (2006-2012): sulle difficoltà e i dilemmi del cooperare tra poeti-massa.

 
PALAZZINA LIBERTY
 
1. In una recente intervista sulla storia del Gruppo ’63 (qui) alla domanda «Lei ritiene che un’esperienza simile, in cui si fa gruppo, sia oggi ripetibile?»,  Umberto Eco risponde: «Mi pare difficile. È cambiato il clima. Balestrini ha cercato di far nascere un Gruppo 93, ma ciascuno poi ha corso per conto proprio. È un po’ per lo stesso motivo per cui oggi i giovani non si riuniscono più in associazioni o partiti. Siamo in un’epoca di cani sciolti». E più avanti lapidariamente aggiunge: «L’ultima possibilità data a una generazione di fare gruppo fu il ’68, ma non era gruppo letterario bensì politico. Diciamo che molte di quelle energie che in un’altra epoca sarebbero confluite in un’attività letteraria allora confluirono nella politica.». Queste parole di Eco, per le circostanze in cui le ho letto (qui), mi hanno colpito. Non credo che un destino, una maledizione, la «condizione postmoderna», la crisi generale condannino i poeti all’individualismo, ma l’esperienza empirica (anche personale) sembra confermare l’esattezza della diagnosi; e il fallimento (o interruzione o trasformazione…) del progetto «Laboratorio Moltinpoesia di Milano» (Per un rendiconto, aggiornato al 2011, delle sue iniziative leggi sotto Appendice 2) impone quantomeno un ripensamento. Continua a leggere

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Laura Canciani, Due inediti.

 

 

da  “Fortezza e contentezza in viola”
 



L’acqua è venata di rosa


L’acqua è venata di rosa.
È chiamata Fontanarosa per il ferro puro,
quasi un pensiero puro
 – al centro di un piccolo campo
c’è un ippocampo –
come toccante.
«Quali occhi quali parole sontuose ametista
o abbracci tesi spalancati sull’abisso del non so niente?»
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Adam Zagajewski, Cinque poesie. Con una nota di Giorgio Linguaglossa.

zagajewski

Kierkegaard su Hegel

Kierkegaard diceva di Hegel: ricorda qualcuno
che erige un enorme castello, ma vive
in una semplice capanna, lì nei pressi.
Così l’intelligenza abita in una modesta
stanza del cranio, e quegli stati meravigliosi
che ci furono promessi sono ricoperti
di ragnatele, per ora dobbiamo accontentarci
di un’angusta cella, del canto del carcerato,
del buonumore del doganiere, del pugno del poliziotto.
Abitiamo nella nostalgia: Nei sogni si aprono
serrature e chiavistelli. Chi non ha trovato rifugio
in ciò che è vasto, cerca il piccolo. Dio è il seme
di papavero più piccolo al mondo.
Scoppia di grandezza. Continua a leggere

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Rita Simonitto, Per chi suona la poesia.

campana01g
Questo intervento di Rita Simonitto (sue poesie e interventi si trovano inserendo il cognome in ‘Cerca nel blog’, a destra in alto) può ben coadiuvare il ripensamento della funzione  di questo blog, che —   da solo o  con il contributo di altri – vorrei avviare dopo il distacco dal “Laboratorio Moltinpoesia” di Milano. Rita teme che la eterogeneità del materiale poetico finora proposto possa significare una mia scelta  a favore dell’ibridazione e del nomadismo (poetico). Sembrerebbe confermarlo la stessa immagine (per ora) simbolo del blog: il camion multicolore dei migranti nel deserto in  sostituzione de “Il quarto  Stato” di Pellizza da Volpedo). D’altra parte, nota ancora Rita, gli articoli di critica finora pubblicati contrasterebbero questa opzione pluralistica. Vi coglie, infatti, un’intenzione normativa, quasi la ricerca di un canone prescrittivo da imporre alla ricerca del singolo poeta. Ci sarebbe stata (o ci sarebbe), dunque, un’oscillazione tra due poli opposti. E, per uscirne Simonitto indica due direzioni di lavoro: il rapporto di chi scrive con la realtà (da ridefinire; e in proposito si sta svolgendo un intenso dibattito sul “nuovo realismo” documentato nel libro di AA.VV. Bentornata realtà, Einaudi, Torino 2012…); la ricerca (implicita o esplicita) di un interlocutore-lettore-destinatario, che  ogni scrittura poetica (fosse pure la più lirica e solitaria) sottintende. Ci penserò… [E.A.]

“…And therefore never send to know for whom the bell tolls. It tolls for thee”.
 (John Donne)


E’
un incipit un po’ provocatorio visto e considerato che essa poesia  dovrebbe suonare essenzialmente per chi la
scrive: sia nel senso che ri-suona, ovvero dà una sonorità di parola a delle rappresentazioni
interiori del poeta su se stesso e sul mondo, e sia nel senso che suona a lutto,
il lutto che egli incontra nell’esporre, nero su bianco, il suo pensiero unito
all’accettazione dolorosa di poter esprimere soltanto una verità parziale
rispetto a quanto esperito.
Rappresentazione
che non significa ‘spettacolarizzazione’ della realtà, come peraltro pare
essere la moda di oggi (dalla guerra, ai programmi culturali televisivi, alle
manifestazioni politiche) bensì tentare di rendere esplicita il più possibile
la trama che la sottende. Continua a leggere

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Gilberto Isella,Poesie.

isella
se
non v’è nulla nulla più da vedere
gli
occhi li puoi depositare
sul
posacenere a esempio:
cipolle
ispirate che il fumo le ricambi
di
pianti e scarabocchi o d’altro scempio
meglio
su cremagliere, col tonfo finale
nel
caveau della tua banca eletta,
da
elettronici frati risanati,
al
riparo da turbe di luci impertinenti
forzando
alla cieca un’aurea via
che
dall’onfalo dell’urbe sfoci
in
digitale rada
intorno
a un foto-nada allora
perfetta
vedrai orbitare la tua vista
(Mappe in controluce, Book Editore, 2011)

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Luisa Colnaghi,"Da una zona d’ombra".Alcune poesie.Con la presentazione di Guido Oldani.

ombre 3
Luisa Colnaghi, “DA UNA ZONA D’OMBRA”  Ed. La Vita Felice
2012
 
La spera di
sole
sulle mani stanche
una macchia bianca
un graffio sul tavolo
nebbia di tristezza
nell’aria immobile
 
angoscia temperata
nel pulviscolo d’oro
 

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Anna Maria Ercilli,Poesie.

Così poco
 
I pensieri precedono le parole
e ancora rincorrono spazi,
vedo parti di cielo, lune di ieri
e poche altre cose sospese, forse
semi alati di un giardino murato-
Non rattristarti ci resta così poco
per incontrarci – un poco di tutto-
 

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Mario Marchisio,"La falena sulla palpebra. Poesie gotiche 1973-2007".Con una nota di Giorgio Linguaglossa.

Mario Marchisio La
falena sulla palpebra.
Poesie gotiche 1973-2007 Mimesis, Milano 2008
Ofelia
C’è un vento lieve che
increspa l’acqua
C’è un vento che
l’accarezza:
Erba, fiume, fronde contro
il cielo,
E lei nell’acqua e i pesci
che la schivano.
E un tiepido raggio esplora
il silenzio,
Un sole tiepido indugia sul
vetro
Nero dei suoi occhi, scende
agli splendori
Dell’esilio senza tempo a
cui fa vela
Mentre resta là in fondo cullata
Dal guizzo dei pesci, né
trema
Se gelo anche l’abbraccia.
non trema
Ofelia, di verdi alghe
incoronata.

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Ennio Abate, Riflessione sul fare gruppo a partire da un’intervista ad Umberto Eco.

gruppo 63
Non so
quanti frequentatori del blog hanno notato che sotto il nome Moltinpoesia ho tolto il sottotitolo «blog
del Laboratorio Moltinpoesia di Milano». Ho cancellato anche la foto della Palazzina
Liberty  dove ci riunivamo e sostituito l’immagine de Il quarto stato di Pelizza da Volpedo
con quella dei migranti neri appollaiati con le loro suppellettili su un camion
che va nel deserto. E, per finire, mi sono dimesso da coordinatore del Laboratorio.
Spiegherò più avanti, sedate le polemiche,  le ragioni per cui ho ritenuto esaurita quell’esperienza
di fare gruppo durata dal 2006 al
2012. Continua a leggere

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