IN MORTE DI COSTANZO PREVE

preveNon sembri strano che ricordi la morte di un  amico filosofo su un blog di poesia. Riduco a due righe la polemica nei confronti degli intellettuali di sinistra, che in questi ultimi decenni hanno accettato la demonizzazione e l’emarginazione di intellettuali dissenzienti come Costanzo Preve e mi adatto a esprimere il dolore per la sua scomparsa, pubblicando, per ricordarlo, la testimonianza umanissima che mi rese dopo la morte di un altro “quasi dimenticato”: Franco Fortini. [E.A.]

 

…NON MI SONO MAI SENTITO IN SOGGEZIONE COME CON FORTINI…
di Costanzo Preve

Ho visto Franco Fortini cinque o sei volte nella mia vita e ho colloquiato a lungo con lui alla metà degli anni ‘80, quando ci fu un convegno su Lukacs e Bloch a cui Fortini intervenne assieme a Cesare Cases, e poi in altre occasioni fra la fine degli anni ‘80 e l’inizio dei ‘90.
Prima ero stato soltanto un suo lettore o l’avevo ascoltato in qualche conferenza.
Negli ambienti che io ho frequentato Fortini aveva un’alta immagine e non ho mai ascoltato giudizi cattivi, pesanti o spregiativi su di lui. Era considerato, più o meno come lo consideravo io: un maestro della letteratura e della forma, della poesia e della saggistica filosofica e politica; e contemporaneamente un intellettuale di altissimo livello, non solo paragonabile a Pasolini ma di prima grandezza.
Non so in altri ambienti. Evidentemente io non ho frequentato gli ambienti alla Giorgio Bocca, dove Fortini potesse apparire una specie di apocalittico, né quelli alla manifesto-Rossanda, dove c’era ancora il contenzioso per il giudizio che a suo tempo Fortini espresse, prendendo occasione dal fratello di Pintor, sugli intellettuali, diciamo così, in un certo senso privilegiati.
Personalmente, nei suoi confronti ho avuto un sentimento di doppia soggezione legata al divario di età e alla importanza storica di un intellettuale, di cui riconoscevo tutta l’importanza che aveva avuto nella mia vita culturale. Nei confronti di altre persone – come Bobbio, Geymonat, Althusser, Sweezy – grossi nomi con cui ho avuto modo di entrare in consuetudine – non mi sono mai sentito in soggezione così come con Fortini.
E devo ancora capire bene con me stesso come mai questo è accaduto. Posso fare un’ipotesi: Fortini ha avuto la benevolenza di leggere alcuni miei libri e di esprimere giudizi molto lusinghieri riguardo ad essi.
Questo lungi dal farmi piacere, è per me un motivo d’inquietudine, perché io sono perfettamente cosciente che i miei libri andavano oltre il marxismo e non erano soltanto una sua versione particolarmente spinta o intelligente e, forse, temevo che lui lo scoprisse.
Ho avuto sempre un’altissima stima della sua capacità di comprensione filosofica dei testi. E’ chiaro che un signore, capace di capire Hegel e Adorno, era capace di capire anche dove andava a parare Preve.
Allora – la metà degli anni ‘80 – eravamo accomunati dal desiderio di difendere un’eredità rivoluzionaria ed emancipatrice; eppure già c’era una diversa valutazione del pensiero negativo. Mi pare che Fortini avesse un giudizio molto severo su Heidegger e Nietzsche, che io non avevo.
C’era poi un secondo motivo d’inquietudine. Fortini per me era un maestro della forma; ed io ero molto consapevole (e tuttora lo sono) che i miei libri di filosofia lasciano a desiderare per quel che riguarda la forma della lingua italiana, la nettezza dell’espressione, ecc. Vi sono di sicuro elementi di sciatteria. E avevo il timore che Fortini lo scoprisse… Per essere sincero, dunque, devo dire che nei suoi confronti avevo questo atteggiamento di grande stima e di paura…

( da “Se tu vorrai sapere…”. Testimonianze per Franco Fortini. Comune di Cologno Monzese, dicembre 1996)

*Notizie su Preve (qui)

5 commenti

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5 risposte a “IN MORTE DI COSTANZO PREVE

  1. roberto b

    Mi associo al dolore da Ennio espresso per la perdita di Costanzo Preve

  2. Giuseppina Di Leo

    L’ammissione dei propri limiti da parte di Preve (che non conoscevo) dà rilievo della sua onestà intellettuale, ed è bello il ricordo che fa del ‘Maestro’ Fortini.
    Grazie a Ennio per questo suo omaggio all’amico.

  3. Riporto dal sito Lo spiffero:

    In memoria di Preve
    Scritto da Diego Fusaro
    Pubblicato Sabato 23 Novembre 2013, ore 17,08

    È scomparso il 23 novembre il filosofo Costanzo Preve. La sua notorietà era inversamente proporzionale alla sua statura intellettuale. Pochi (o comunque non abbastanza), anche tra gli addetti ai lavori, conoscevano il suo nome, il suo pensiero, le sue numerosissime opere. Dopo aver studiato in Francia sotto la guida di Hyppolite, Preve ha vissuto a Torino: città alle cui logiche si è sempre sentito estraneo, vivendo, di fatto, come uno straniero in patria.

    La città, probabilmente, non tributerà il degno ricordo al filosofo. Ed è anche per questo che ho deciso di ricordarlo io in questa sede. È per me un dovere, anche se mi costa molta sofferenza. È un dovere perché Costanzo è stato il mio maestro a Torino e perché vi era una profonda amicizia che mi legava a lui fin dal 2007. Non è facile parlarne, come sempre accade quando scompare una persona a noi vicina, a cui volevamo autenticamente bene. Con Costanzo, se ne va anche un pezzo – e non secondario – della mia vita e del mio legame con la città di Torino.

    Ricordo quando lo conobbi: in una gelida serata del gennaio del 2007, al bar Trianon, in piazza Vittorio. Si trattava di una serata filosofica dedicata alla presentazione del libro di Giuseppe Bailone, Viaggio nella filosofia europea. Conoscevo già Preve, sia pure indirettamente: avevo letto alcuni suoi lavori su Marx, l’autore a cui Preve ha dedicato la sua vita e di cui si può con diritto riconoscere tra i massimi esperti a livello internazionale. Ma poi avevo già sentito un suo splendido intervento su Marx qualche anno prima, a Torino, all’“Unione Culturale”. Mi colpì profondamente. Quella sera, al bar Trianon, mi avvicinai e lui, con estrema cordialità, mi invitò a passare nei prossimi giorni a casa sua a trovarlo per discutere insieme di filosofia e Marx.

    Già l’indomani, con l’impazienza che solo un ventiquattrenne può avere, lo chiamai e presi appuntamento. Da quel momento, iniziò la nostra amicizia. Andavo di continuo a trovarlo, a casa o, più spesso, al bar sotto casa. Ore di discussione filosofica sui temi della filosofia classica e dell’attualità che volavano quasi senza che ce ne accorgessimo: ci trovavamo alle 14 sotto casa sua e ci congedavamo intorno alle 18. Rispetto a tutti i docenti che avevo finora incontrato, Costanzo aveva qualcosa di diverso: non era un professore, era un filosofo. I suoi insegnamenti non si esaurivano nell’aula, ma erano un continuo dialogo con il presente e con l’attualità, con i problemi dell’oggi. Era una figura indubbiamente più simile a Platone e a Spinoza che non ai tanti grigi professori universitari che parlano di tutto e non credono in nulla.

    Nella verità filosofica Costanzo credeva profondamente: per lui, la filosofia era una pratica veritativa legata alla dimensione storica e sociale. Il suo pensiero, per chi vorrà approfondirlo, è un grandioso tentativo di coniugare Hegel con Marx, ossia una critica radicale della società frammentata con l’esigenza veritativa della filosofia come ricerca di una sintesi sociale comunitaria degna dell’uomo come zoon logon echon, ossia come animale dotato di ragione, di linguaggio e di giusto calcolo delle proporzioni sociali. Costanzo ha scritto più di quaranta libri, dedicati ai grandi temi della tradizione filosofica occidentale. Riteneva – me lo diceva ancora poco tempo fa al telefono – la sintesi più riuscita del suo pensiero il monumentale volume Una nuova storia alternativa della filosofia. Il cammino ontologico-sociale della filosofia (Petite Plaisance, Pistoia 2013).

    È da questo splendido libro – oltre che dai numerosissimi video su “Youtube” – che invito tutti a iniziare a conoscere il pensiero di Costanzo. È un invito che rivolgo anzitutto ai Torinesi, ossia a quelli che più avevano vicino Costanzo, senza saperlo. Le sue condizioni di salute non erano buone da tempo, ma non è per questo che non lo si vedeva presente ai convegni filosofici e alle discussioni pubbliche. Costanzo è stato ingiustamente ostracizzato dal “politicamente corretto” e da quella manipolazione organizzata che controlla millimetricamente cosa si può e cosa non si può dire. Costanzo ha sempre cantato fuori dal coro, preferendo – come amava dire citando Rousseau – il paradosso al luogo comune. Certi pensatori – ha detto Nietzsche – nascono postumi. Costanzo è senz’altro uno di questi.

    La sua epoca non l’ha capito, forse perché lui aveva profondamente capito la sua epoca. Le aveva dichiarato guerra. Aveva rinunciato all’adattamento e alla rassegnazione. Non ha mai smesso di combattere, né è passato armi e bagagli al disincantamento, alla rassegnazione e alla santificazione dell’esistente, come hanno fatto miseramente in troppi della sua generazione. È sempre rimasto legato al progetto marxiano di ringiovanimento del mondo e di perseguimento di un futuro meno indecente della miseria presente. Non ha mai rinnegato nulla ed è sempre rimasto all’altezza di se stesso. Non ha accettato compromessi, né scorciatoie. Ha sempre combattuto il presente per quello che è veramente, l’epoca della compiuta peccaminosità di fichtiana memoria. In lui il comunismo non è stato un momento magico quanto effimero della giovinezza, destinato a tradursi nella rassegnata accettazione del presente frammentato: si è, invece, sedimentato in “passione durevole”, in ricerca razionale di un altro fondamento possibile per il legame sociale dell’umanità. Così ha sempre anche inteso il “comunitarismo” (a cui ha dedicato le sue energie teoriche negli ultimi anni), come correzione democratica del comunismo.

    Vi è un’immagine in cui, più che in ogni altra, può essere compendiato l’atteggiamento filosofico e intellettuale di Costanzo: immaginate un immenso banco di pesci che nuotano compatti seguendo la corrente; immaginate, poi, un unico pesce che si avventura nella direzione opposta, controcorrente e in solitudine. Costanzo ha sempre nuotato così, controcorrente, seguendo non le mode del momento e le visioni di comodo, collaudate e funzionali al presente: si è sempre opposto al banco di pesci degli intellettuali organici allo status quo. E ha pagato sempre sulla propria pelle le conseguenze della propria dissonanza ragionata e del proprio spirito di scissione: offeso, calunniato, marginalizzato, ridicolizzato, non è mai stato affrontato sul suo terreno, cioè nell’arena della discussione filosofica e del logon didonai. Non cercava il successo, ma la verità; non il riconoscimento, ma un mondo più giusto.

    Forse un giorno verrà capito e l’antipatia organizzata contro di lui si convertirà nel giusto riconoscimento per il suo magistero, per la sua lucidità critica e per la sua passione durevole per la filosofia. Ora è troppo presto. Quel che è certo – al di là di ogni retorica a buon mercato – è che con Costanzo se ne va un filosofo, un filosofo vero, uno dei pochissimi che ancora abitavano il mondo. Al dolore causato da ciò, in me si aggiunge quello dovuto al fatto che, con Costanzo, se ne va anche un vero maestro e un vero amico, una persona che mi ha dato più di quanto io non sia stato in grado di dare a lei. Le parole non bastano a esprimere la sofferenza e la nostalgia, i momenti trascorsi insieme e le interminabili discussione filosofiche al bar sotto casa.

    Voglio concludere questo mio breve e sentito ricordo personale di Costanzo con i versi di Franz Grillparzer, che Costanzo stesso appose come esergo al suo splendido libro Un’approssimazione al pensiero di Karl Marx, del 2007: “se il mio tempo mi vuole avversare, lo lascio fare tranquillamente. Io vengo da altri tempi, e in altri spero di andare”.

    (fonte: http://www.lospiffero.com/ )

  4. Ennio Abate

    Giovedì 28 novembre sono andato a Torino per partecipare ai funerali di Costanzo Preve.
    Pubblico qui sotto il post a lui dedicato il saluto letto in chiesa dal suo amico Giuseppe Bailone:

    Addio a Costanzo

    In questo breve estremo saluto, Costanzo, non parlerò dei molti libri che hai scritto e delle idee che in essi hai fissato. Quelli sono un dono che ci resta.
    Parlerò, invece, di quel che io ho irrimediabilmente perso con la tua morte. Parlerò dell’amico che, appassionato di filosofia, mi ha portato a visitare delle sue idee le radici esistenziali e personali. Parlerò dell’amico col quale ho avuto un rapporto filosofico non accademico, non formale, molto umano.
    Ho studiato e insegnato filosofia per tutta la vita, ma solo negli ultimi vent’anni e solo con te ho passato molto tempo e abitualmente a discutere di filosofia. Ho così sperimentato la differenza tra una filosofia mediata dalla cattedra, sia dalla parte di chi ci sale che di chi vi si accosta per ascoltare, e quella viva, diretta, immediata della discussione amichevole e animata dalla passione per la verità; una filosofia molto diversa anche da quella che si consegna ai libri.
    La cattedra e il libro impongono che ci si metta in posa, che si assuma un ruolo. Le idee della filosofia della cattedra e del libro, nel loro necessario rigore e nella loro determinatezza, spesso dividono, oppongono le persone, talvolta diventano corpi contundenti. Se, invece, alle idee ci si accosta in rapporti personali amichevoli, informali, liberi, esse scoprono l’umanità che le ha prodotte, perdono la loro rigidità formale e diventano molto più feconde.
    Non è difficile incontrare la filosofia mediata dalla cattedra e dai libri. È molto difficile trovare qualche amico della filosofia che sappia anche farsi amico tuo, interessarsi alla tua umanità; che sia disposto a mettere le sue idee nel vivo del rapporto d’amicizia, a discuterle, a lungo, abitualmente, senza l’urgenza di convincerti; che abbia la pazienza di fare attenzione a come le accogli, all’effetto che fanno su di te, alla tua disponibilità a farle tue, ad abitarle.
    Questa tipo di amicizia l’ho guadagnato con te.
    Ci siamo incontrati quasi mezzo secolo fa, in tempi di forti tensioni sociali, animati dalla speranza e dalla convinzione di poter cambiare radicalmente il mondo e gli uomini. Noi due avevamo in più una forte passione per la filosofia e la pratica del suo insegnamento ai giovani liceali. Ci consideravamo amici, anche se, in realtà, il comune impegno ideale e di militanza politica rendeva i nostri rapporti piuttosto impersonali: avevamo troppo febbrilmente fretta di cambiare le cose per fermarci a curare i nostri rapporti personali. Inoltre, la forte disparità culturale complicava le cose: tu parlavi molte lingue, anche il greco moderno, e conoscevi molto bene i classici del pensiero rivoluzionario e ciò mi metteva un po’ a disagio.
    Nella seconda metà degli anni Settanta la progressiva sconfitta dei nostri progetti giovanili ci ha allontanati. Infine, ci siamo ritrovati, alla metà degli anni Novanta, al Volta, il liceo di quasi tutta la tua vita d’insegnante. Gli incontri quotidiani e il comune impegno contro le riforme che stavano devastando la scuola ci hanno messi nelle condizioni di diventare amici. Lo siamo diventati abbastanza presto, nonostante la forte disparità e le molte divergenze. Tu avevi già scritto molto di filosofia, io non solo non avevo ancora scritto nulla, ma neppure pensavo di avere cose mie da scrivere. Abbiamo preso presto l’abitudine di passare molto tempo a discutere, di praticare la filosofia, di viverla in impegnativi e intensi rapporti personali. Questa pratica quotidiana ha consumato lentamente tutto ciò che impacciava il nostro rapporto. La tua straordinaria capacità di comunicazione, anche attraverso la provocazione irritante (era irritante, e molto, anche il nostro comune maestro Socrate), ha sciolto le mie rigidità e mi ha aiutato a consegnarmi al dialogo senza riserve. Dopo un paio di anni, anch’io ho cominciato a scrivere delle pagine che ho esposto al tuo temutissimo giudizio. Tu le hai prese in cura, le hai apprezzate anche se divergenti, e di molto, dai tuoi scritti e hai promosso la loro pubblicazione. Devo interamente a te la pubblicazione dei miei primi due libri.
    Grazie, Costanzo, per avermi aiutato a trovare le mie parole in filosofia.
    Mi mancherai molto.
    Mancherai molto ad Anna e a Roberto, che hanno attraversato con te le diverse stagioni della tua esistenza e che adesso, affranti dal dolore, non ce la fanno a dirti pubblicamente quanto ti hanno voluto bene.
    Mancherai a Mariella, tua sorella.
    Mancherai ai moltissimi ex-allievi di liceo che hanno avuto modo di fruire della rigorosa professionalità e dell’umanità della tua filosofia e del tuo insegnamento, agli ex-colleghi del Volta, ai molti amici che in stagioni diverse hanno condiviso le tue battaglie, ai giovani che negli ultimi anni, occupandosi del tuo pensiero per ragioni di studio universitario e per tesi di laurea, hanno avuto modo di incontrarti e di conoscere la tua generosa disponibilità umana. Mancherai molto a Carmine, l’editore di gran parte dei tuoi libri e, soprattutto, dell’ultimo, che tu hai considerato la migliore sintesi del tuo lavoro filosofico quarantennale, il libro della tua vita, come mi hai scritto nella dedica. Mancherai molto ai tuoi amati amici francesi e greci, che hanno apprezzato e tradotto i tuoi lavori nelle loro lingue a te molto care. Mancherai anche ai frequentatori del nostro bar per il caloroso interesse che hai sempre avuto per i loro mondi, per la curiosità affettuosa di tutto ciò che era diverso e lontano dalla tua quotidianità.
    Addio, mio caro amico.

    Torino 28 novembre 2013
    Giuseppe Bailone

  5. emilia banfi

    La lettera è chiara e coinvolgente al punto da chiarire i dubbi che spesso si hanno sulla vera amicizia. I bellissimi pensieri dell’amico Giuseppe danno un esempio di quanto unisca l’amicizia quando è basata sul rispetto , l’entusiasmo e la capacità di mettersi in discussione. L’intellettualità che trasforma la grettezza umana in comprensione e ricerca di risposte ai grandi perché della vita e della morte, qui trovano lo spazio che meritano ed onorano il grande filosofo che ha saputo valorizzare il senso della vita , dell’amicizia e dell’umanità della sua filosofia. Grazie Ennio.

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