SEGNALAZIONE. Giorgio Linguaglossa, Dopo il Novecento.

Linguaglossa Dopo il novecento

«“Andiamo verso la catastrofe senza parole. Già le rivoluzioni di domani si faranno in marsina e con tutte le comodità. I Re avranno da temere soprattutto dai loro segretari”. Era l’aprile del 1919 quando Vincenzo Cardarelli scriveva queste parole. Era iniziata la rivoluzione della società di massa, la rivoluzione industriale era ancora di là da venire, e l’epoca delle avanguardie era già alle spalle, il ritorno all’ordine era una strada in discesa, segnato da un annunzio che sembrava indiscutibile. 
Oggi, a distanza di quasi un secolo dalle parole di Cardarelli, è avvenuto esattamenteil contrario di quanto preconizzato dal poeta de “La Ronda”: oggi andiamo verso la catastrofe con un eccesso di parole. Le rivoluzioni di domani non si faranno né in marsina né in canottiera, né con tutte le comodità né con tutti gli incomodi: non si faranno affatto. Una poesia come questa del Dopo il Novecento non può che nascere in
un’epoca in cui parlare di “rivoluzione” è come parlare di ircocervi in scatola. Non c’è opera della rappresentazione letteraria del secondo Novecento che non tenda, in qualche  modo, al verosimile e, al contempo, non additi la propria maschera. La poesia e il romanzo dello sperimentalismo, rispetto alla poesia del post-ermetismo e dell’ermetismo,
ha una sofisticata coscienza del carattere di “finzione” dell’opera letteraria, ha coscienza della propria maschera, anzi, c’è in essa una vera e propria ossessione della “maschera”». In questo appassionato monitoraggio della poesia italiana dell’epoca della stagnazione Linguaglossa ci dà il meglio delle sue capacità critiche.

La versione digitale delle prime pagine si legge  qui :

*Giorgio Linguaglossa

è nato a Istanbul nel 1949 e vive e Roma. È autore di tre libri di poesia: Uccelli (1992), Paradiso
(2000) e La Belligeranza del Tramonto (2006). Nel 1993 fonda il quadrimestrale di letteratura
«Poiesis» che dirigerà fino al 2005. Nel 1995 firma, con Dante Maffìa, Giuseppe Pedota e Maria
Rosaria Madonna il «Manifesto della Nuova Poesia Metafisica», pubblicandolo nel n. 7 della rivista.
Nel 2001, pubblica il racconto lungo Storia di Omero nel volume Via Pincherle – Modelli
narrativi a confronto e, nel 2005, il romanzo breve Ventiquattro tamponamenti prima di andare
in ufficio. È del 2003 il libro di saggi, Appunti Critici. La poesia italiana del tardo Novecento tra
conformismi e nuove proposte, Roma, Libreria Croce. Come saggista è presente in Linee odierne
della poesia italiana, a cura di Roberto Bertoldo (2001), ha curato la sezione critica dell’antologia
La poesia degli anni Novanta (2002); nel 2007 pubblica il saggio Il minimalismo, ovvero il
tentato omicidio della poesia, Firenze, Passigli e, nel 2010, La nuova poesia modernista italiana
(1980-2010), Roma, EdiLet. Nel 2010 esce il romanzo storico Ponzio Pilato, Milano, Mimesis.
Nel 2011 esce per EdiLet Dalla lirica al discorso poetico. Storia della poesia italiana (1945-2010).

Giorgio Linguaglossa
DOPO IL NOVECENTO

Monitoraggio della poesia italiana
contemporanea

Società editrice fiorentina 2013

pp. 148  formato

prezzo € 14

isbn  978-88-6032-235-7

*INDICE

La partenza degli argonauti

9

Andrea Zanzotto, Angelo Maria Ripellino, Roberto Mussapi, Giampiero
Neri, Antonio Riccardi, Gian Mario Villalta, Maurizio Cucchi, Milo De
Angelis, Valerio Magrelli, Patrizia Cavalli, Antonella Anedda, Patrizia
Valduga, Giuseppe Conte, Isabella Vincentini, Rosita Copioli, Anna
Ventura, Lidia Gargiulo, Lidia Are Caverni, Daniela Raimondi, Maria
Teresa Ciammaruconi, Francesca Diano, Laura Canciani, Sauro Albisani,
Mario Specchio, Mario Marchisio, Massimo Giannotta, Salvatore
Martino, Claudio Damiani, Ennio Cavalli, Flavio Almerighi, Nicola
Vitale, Mario Benedetti, Fabio Pusterla, Umberto Fiori, Umberto Simone,
Francesco Giuntini, Fornaretto Vieri, Aldo Nove, Tiziano Salari, Gilberto
Isella, Alfredo Rienzi, Marco Onofrio, Jolanda Insana, Giuliana Lucchini,
Maria Marchesi, Fortuna Della Porta, Serena Maffìa, Adriano Accattino

14 Retrospettiva del contemporaneo

Il post-contemporaneo

37 Lo spartiacque del 1950

50 L’atonalismo e la dissonanza semantica: Camillo Pennati

57 Il «discorso poetico» senza interlocutore: Alberto Bevilacqua

63 La poesia della irriconoscibilità: Cesare Viviani

69 Il linguaggio poetico magmatico e detritico: Dante Maffìa

77 L’arcaicità della poesia a-norganica, a-temporale: Luigi Manzi

81 La poetica del post-contemporaneo: il tonosimbolismo. Roberto Bertoldo

89 Il problema dell’identità: Ennio Abate

94 Paolo Ruffilli

Dopo il Novecento. Le questioni aperte

101 Non c’è modello né secondarietà del discorso poetico.
Fabrizio Dall’Aglio, Francesco De Girolamo, Gianni Iasimone, Valentino
Campo, Sandro Montalto, Daniele Santoro, Aldo Nove, Leopoldo
Attolico, Marco Onofrio, Giuseppina Amodei, Chiara Moimas
120 Bentornata Realtà. Dopo il Novecento: il ritardo storico della poesia italiana
Aldo Onorati, Paolo Lezziero, Sauro Albisani, Ennio Cavalli, Tomaso
Kemeny, Fausta Squatriti

129 Dopo il Novecento: alcune voci della recente poesia.

Bruno Galluccio, Luciano Nota, Erri De Luca, Daniela Marcheschi,
Rossella Seller, Raffaele Gabbia, Umberto Simone, Gianmario Lucini,
Gianni Iasimone, Paolo Ottaviani, Ivan Pozzoni, Lorenzo Pezzato, Giusi
Maria Reale, Luca Benassi, Letizia Leone, Antonella Catini Lucente,
Laura Sagliocco, Serena Maffìa, Massimo Pacetti, Maria Benedetta
Cerro, Cristina Sparagana, Paolo Carlucci, Faraòn Meteosès, Francesco
Tarantino, Nicoletta Di Gregorio, Matteo Veronesi, Mariangela Gualtieri,
Maurizio Soldini, Vincenzo Mascolo, Donato Salzarulo, Giorgio
Mannacio, Alberto Pellegatta, Giuseppina Di Leo

10 commenti

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10 risposte a “SEGNALAZIONE. Giorgio Linguaglossa, Dopo il Novecento.

  1. Luciano Nota

    Da comprare subito. Grazie a Linguaglossa.

    Luciano

    • Dante Maffìa

      IL CORAGGIO DI GIORGIO LINGUAGLOSSA

      Premetto subito che spesso e volentieri Linguaglossa e io non ci troviamo d’accordo sulle valutazioni di alcuni poeti: una diversa educazione, l’approccio ai testi (il mio fuori da schemi metodologici, il suo ancorato a determinate categorie estetico filosofiche), il gusto, il carattere, eccetera, eccetera. Eppure poi sostanzialmente ritrovo nelle sue pagine critiche, anche in quelle non condivise, un coraggio e una libertà che pochi lettori di poesia oggi hanno. Egli non è chiuso nel baratto degli scambi guidati e imposti, non ha cattedre da difendere né carriera universitaria da perseguire e perciò si lascia andare senza remore, a volte perfino esagerando in negativo o in positivo.
      Lo dimostra anche in quest’altra fatica appena uscita, Dopo il Novecento-Monitoraggio della poesia italiana contemporanea (Firenze, Società Editrice Fiorentina, 2013) in cui affronta le problematiche in atto più scottanti. In maniera irriverente e spesso complessa e comunque fuori dagli schemi usuali, fuori da qualsiasi cattedra organizzata.
      Secondo me ogni tanto prende degli abbagli, tuttavia il suo lavoro verifica (con piglio spesso alla Fortini) il fare odierno in Italia cercando di seguire ciò che accade e di ricavarne delle coordinate attraverso le quali si possa stabilire un percorso che, se anche molto frastagliato, ha comunque una sua ragione che parte da lontano e spesso non riesce a risolversi in vere e proprie acquisizioni poetiche.
      Comunque Linguaglossa analizza i testi e li mette a confronto e ne cerca la valenza all’interno di un panorama così composito e sconnesso fino a fare una mappa delle presenze e senza badare minimamente alle acquisizioni imposte dall’alto, dalla protervia delle case editrici che contano. In questo modo fa traballare le posizioni che sono state stabilite a priori da Mondadori, Einaudi, Garzanti, Guanda, Crocetti e Scheiwiller e offre una rilettura dei marginali, dei non considerati, in modo da rimpastare la deità del senso comune e aprire gli occhi alle nuove verità, sui poeti che, spesso solitari e appartati, lavorano nel silenzio della ricerca e nella disperazione degli approdi.
      Linguaglossa non stabilisce pregiudizialmente chi sono i poeti che stanno facendo la storia (dico stanno facendo perché si tratta di poetiche in atto e in continuo avanzamento), non stabilisce graduatorie, non condanna e non assolve. Registra secondo i suoi criteri (l’ho già detto, a volte discutibilissimi) ma ha il coraggio delle sue scelte, del suo agire ed ha la responsabilità meravigliosa di non essere succube delle imposizioni. Questo suo modo di agire, di andare contro corrente ha dato linfa a più di un poeta che si sentiva messo in soffitta e così ha ricreato quel senso di libertà necessario, molto necessario!!!, per poter avere la facoltà di accostarsi ai testi fuori dai dettami del potere editoriale.
      Questo però è soltanto uno degli aspetti che il libro analizza e indaga, raffronta e discute; poi ci sono le tendenze e le reminiscenze, le imitazioni e le intrusioni, il dilettantismo camuffato, paludato e avallato e c’è lo svariare dei tanti che si muovono sui vari fronti il senso della poesia, del fare della poesia senza necessità, e ci sono i finti avanguardisti, i melici e i lirici soffocanti, gli orfici, gli orfani dei dispersi, gli improvvisatori che sanno di canzonetta, e Linguaglossa annota e ricusa, discute e lancia strali critici, non umorali come a dire, a che vale la loro presenza in un mondo in dissolvimento etico?
      Lo so, alcuni lettori cominceranno a fare i conti della serva per vedere chi c’è e chi non c’è nell’indice dei nomi e diranno tra sé che il libro è tutto sbagliato, che quel poeta ha già una carriera alle spalle ed è stato preferito un altro con poche esperienze. È la storia di sempre, l’Antologia di Giovanni Papini suscitò polemiche e rancori, quella di Ravegnani-Titta Rosa altrettanto; quella di Mengaldo fu tartassata (e io dico a ragion veduta non solo per le scelte che tra l’altro erano identiche a quelle di Ravegnani-Titta Rosa che aveva incluso anche i dialettali a cui Mengaldo aggiungerà appena Franco Loi)); quella di Porta non vi dico (e in effetti era faziosa e fuorviante); quella di Cucchi-Giovanardi fu addirittura crocifissa (per la spocchia, per la pochezza dell’impostazione, per le scelte soltanto e semplicemente amicali); e non vi dico dei testi critici sul Novecento sostenuti anche economicamente da fondi pubblici… Il fatto è che spesso a occuparsi di una materia così scottante, in divenire continuo, in trasformazione incessante spesso sono stati e sono incapaci professorini o assurdi impiegati dell’editoria. Se fossero studiosi attenti e avidi, per fare un esempio ormai storico, come Giacinto Spagnoletti, si accorgerebbero di che cosa avviene, di che cosa si muove nel centro e nella periferia, nel pullulare infernale di una produzione poetica che ha dell’inverosimile e spesso è scritta da persone che non hanno mai letto un testo, e non marcerebbero per partito preso, ma pesando i versi, usando la bilancia dell’onestà critica, al di là del gusto, delle compagnie mafiose, dei gruppi pilotati, delle massonerie.
      Il libro di Linguaglossa ha limiti e difetti (come qualsiasi lavoro che affronta una materia incandescente sulla base soprattutto di istanze militanti e quindi colte sull’onda delle fibrillazioni del presente senza che nulla sia stato ancora obiettivato), ma ha il pregio del coraggio e della libertà, lo ribadisco, e basta questo a riscattarlo da eventuali pecche e da eventuali omissioni che gli saranno addebitate. Del resto, se gli addebiti saranno obiettivi e surrogati da prove tangibili credo che egli nobilmente e disinvoltamente li colmerà. Perciò la canea degli esclusi (o non inclusi), anche di quelli recensiti sulle riviste da Linguaglossa, non alzi il capo se non compare; diceva Carlo Bo (ma fu spesso ripetuto da altri) che collaborando a diversi quotidiani e riviste aveva l’obbligo di occuparsi dei libri appena editi, che una cosa sono le occasioni giornaliere e un’altra la dimensione storica con la quale bisogna fare i conti per stabilire senso e durata.
      Linguaglossa dice la sua fermamente, con documentazione. Che altri scendano in campo a contestare e a proporre, a dimostrare che esistono altre pagine di poesia, altre strade critiche, altri valori. Il dialogo è sempre il benvenuto, il dialogo, dico, non le imposizioni, le stupide recriminazioni, l’indifferenza programmata. E il potere abbia l’umiltà di non ragliare, ma di confrontarsi civilmente e a bassa voce.

      Dante Maffia

  2. Ennio Abate

    “Il libro di Linguaglossa ha limiti e difetti (come qualsiasi lavoro che affronta una materia incandescente sulla base soprattutto di istanze militanti e quindi colte sull’onda delle fibrillazioni del presente senza che nulla sia stato ancora obiettivato), ma ha il pregio del coraggio e della libertà, lo ribadisco, e basta questo a riscattarlo da eventuali pecche e da eventuali omissioni che gli saranno addebitate.” (Maffia)

    Ma insomma, vogliamo sottrarre questo libro di Linguaglossa al solito riflettore e tira e molla dei critici ufficiali e dei critici sotto-ufficiali? Vogliamo, se siamo insoddisfatti dello stato della critica letteraria in Italia, gettare le fondamenta per un’ altra critica?
    E allora direi di fare la cosa più semplice ed onesta: leggerci il libro e pronunciarci in dettaglio sui singoli capitoli e sull’insieme. E dire noi, indipendentemente da quello che diranno gli altri (gli ufficiali e i sotto-ufficiali), dove vediamo i limiti e dove vediamo i meriti.
    E, mi scusi Maffia, ma “il pregio del coraggio e della libertà” a me pare una lode generica. Si deve entrare nel merito del libro, pronunciarci su di esso.
    Come se gli altri (gli ufficiali e i sotto-ufficiali)… non ci fossero più.
    E, come dopo un diluvio, ripartire dalla problematica dei superstiti: se davvero concordiamo con la diagnosi riassunta nel titolo di Linguaglossa “Dopo il Novecento”, che fare? quale progetto è possibile? chi ci sta a lavorarci?

    • Giorgio Linguaglossa

      Gent.mi interlocutori,

      …personalmente ritengo di essere una persona del tutto normale, non mi reputo più coraggioso della media degli altri esseri umani; nel libro ho tentato di «attraversare» i testi a partire dal mio personale punto di vista. Ho attraversato davvero tanti testi e tanti autori. Il punto di vista dal quale osservo è questo: La fine della Tradizione, la fine del Novecento, la Recessione e la fine della modernizzazione, la fine di un Modello di sviluppo e di modernizzazione. E mi sono chiesto: come si riflette questo
      orizzonte in quello che facciamo e in quello che giudichiamo? – La critica che ho meso in atto è quindi una Critica di accompagnamento; ho tentato di accompagnare i testi per vedere dove essi mi portavano, ho tentato di indagare perché certe strade intraprese da alcuni autori fossero strette e ripide, altre fossero sbarrate e di difficiel accesso, altre ancora in salita vertiginosa e altre in discesa ripida. Ho tentato una mappa del Contemporaneo. Senza bussola, senza periscopio: e mi si è fatto chiaro il pensiero del Nichilismo, di questo «rotolare via dal centro verso un punto “X” della periferia» (Nietzsche).

      Un viaggio verso un territorio che non conosciamo.

  3. Ennio Abate

    @ Giorgio Linguaglossa

    A me sta benissimo la tua Critica di accompagnamento. Ma davvero tutti i testi “accompagnati” rotolano verso il Nichilismo?
    E, visto che hai accompagnato anche me, mi troverei un po’ a disagio tra i nichilisti. Tanto più che io in “periferia” ci sono sempre stato e adesso vedermi arrivare tutti ‘sti nichilisti dal “centro” è un bel problema.
    Dove li metto? Anzi, essendo io per un “poesia esodante”, mi sento in imbarazzo a dirgli subito, senza neppure farli riposare un po’ dopo il “rotolamento”: ragazzi, alé, ripartiamo!
    Per dove? – mi chiederanno.
    E dovrò cominciare a farfugliare discorsi complicati sull’esodo che oggi non è più quello di una volta, ecc.
    Tuttavia resta la questione: ci possiamo accontentare di constatare il dominio del “pensiero del Nichilismo”?
    Io dico: No.

  4. emilia banfi

    Ragazzi ripartiamo!
    Per dove?!?
    Orsù! La luna!

    • Giorgio Linguaglossa

      Scrive Chiara Valerio su L’Unità di ieri:
      «è forse opportuno ricordare una osservazione di Niels Bohr su un esperimento di entaglement (groviglio) quantistico. «Tra due particelle che si allontanano l’una all’altra nello spazio, esiste una forma di azione-comunicazione permanente. (…) Anche se due fotoni si trovassero su due diverse galassie continuerebbero pur sempre a rimanere un unico ente».
      Il fenomeno dell’entaglement viola il «principio di località» per il quale ciò che accade in un luogo non può influire, nell’immediato, su ciò che accade in un altro luogo. A leggerlo sembra qualcosa di molto sentimentale, o comunque, di umanità quotidiana. E in effetti, con Fisica quantistica della vita quotidiana (Einaudi, 2013) Piergiorgio Paterlini, raccontano (…) quanto i gesti nostri e di ogni giorno siano inefficaci e spesso inaffidabili, come la crudeltà dei bambini evolva parallelamente al loro immaginario di violenze – un rospo ammazzato su una sedia elettrificata tramite un circuito a misura di piccolo anfibio – come l’amore sia inspiegabile e spesso arranchi in se stesso, senza conseguenze, come si dice addio o soltanto ciao, come lo spazio tra due persone possa essere riempito dall’attesa o da una lite e come il tempo passato possa essere annullato da un ricordo o da un fraintendimento, come, essendo ciascuno di noi solo, insieme a un altro, si sia soli in due e, per una trasgressione a una qualche regola additiva, si sia meno soli. Attraverso le suggestioni di spazio vuoto, punti di luce e azione a distanza della fisica quantistica, Paterlini racconta un mondo di particelle impazzite o, per quanto deterministiche, schizzate su traiettorie spesso inconoscibili. E le particelle che Paterlini osserva nell’acceleratore della scrittura sono, ovviamente, gli esseri umani. «Per sempre» – lei lo sapeva bene – era ciò che era successo, anche soltanto una volta. Per sempre non avrebbe mai potuto essere una promessa, qualcosa che riguardava il futuro, ma il passato: ciò che è già avvenuto e che niente e nessuno potrà mai più impedire».
      L’approccio alla realtà quantica e quantizzata di Sven Ortoli e Jean-Pierre Pharabod in Metafisica quantistica (Castelvecchi, 2013), pur essendo assai narrativo e molto avvincente – «Non sfuggirà al lettore che il sottomarino e la particella hanno in comune il fatto che non se ne scorge traccia una volta che siano stati inviati in missione» – ha un intento di divulgazione scientifica e un passo saggistico. Ortoli e Pharabod vogliono spiegare che cos’è la fisica quantistica, non a partire da teorie generali che si prestano molto a suggestioni e assai poco a comprensioni, se non a patto di uno studio intenso e regolare, ma a partire dai dispositivi che ci circondano, smartphone e impianti stereo e stampanti wireless, per rendere evidente, anche a chi non ha fatto quegli studi indefessi di cui sopra, quanto la fisica quantistica abbia cambiato il quotidiano di tutti. «Il nostro rapporto con il mondo è talmente cambiato che oggi noi siamo diversi dagli uomini e dalle donne esistiti prima di internet. Con l’arrivo di internet si è finalmente prodotta una cesura che non era solo simbolica, ma che si è tradotta, e oggi ce ne rendiamo conto, in un uso diverso della realtà. Si tratta della proiezione nello spazio e nel tempo attraverso strumenti che comprimono l’uno e l’altro», e continuano osservando quanto «(…) una teoria scientifica non si riduce a un formalismo matematico, ma dipende anche dall’ontologia che postula, ossia dal suo modo di descrivere la realtà fisica e di rendere conto di una esperienza».
      «I fatti sono ostinati» annotano Ortoli e Pharabod e Paterlini, sembra rispondere come, per converso o in accordo, le persone siano ostinate, e così, da Kant e da un saldo rapporto causale e di differenziazione tra soggetto e oggetto in poi, ci si ritrovi in una confusione di soggetto e oggetto, in una perenne dispercezione di tempo e di spazio, molto oltre qualsiasi principio di causalità e in una vita collettiva in cui il principio di indeterminazione non è quello di Heisenberg, o non solo, ma un principio di indeterminazione, ostinato esso pure, radicato in ciascun essere umano.

      Il mondo quantistico di Ortoli e Pharabod assomiglia più che alla realtà a un mondo dello spirito, spirito a tratti paranoico, a tratti sognatore, spesso autoreferenziale, un mondo quantistico che ci piace perché ci assomiglia, perché non vale in esso quel principio di non-contraddizione che tanto porta a rotture emotive o politiche o semplicemente a litigi. La letteratura non è scienza e neppure, così e ormai priva di metafore esatte, può spiegare la scienza – la scienza si spiega con la scienza – però può raccontarne le conseguenze. Lo spazio è fatto solo di spazio, il tempo solo di tempo, i sentimenti solo di sentimenti, gli errori solo di errori, e così, in un mondo nel quale tutto sembra atomico e nel quale atomico è sinonimo di diffuso, di dovunque, la fisica quantistica – qualsiasi cosa essa sia in realtà – è il modello per gli universi paralleli e per il tempo riavvolto degli amori e delle esitazioni umane. «No. Il silenzio non è mai chiaro. È la cosa più oscura che ci sia. Potevi essere morta. Il silenzio non chiarisce, moltiplica solo le ipotesi. Il silenzio usato per dire qualcosa è stupido vile crudele. Non si deve mai, mai – capito? – mai rispondere con il silenzio».

      Questo per parafrasare che il mondo del silenzio e il mondo del rumore e della ciarla sono in realtà speculari e che un contemporaneista quale io sono abita contemporaneamente mondi diversi e conflittuali. Voglio dire che la nuova modalità di esperire il NICHILISMO oggi forse è proprio questa dis-persione e dis-percezione che tutti ci avvolge e coinvolge. Accettare questa situazione per un contemporaneista non significa arrendersi allo stato di fatto delle cose così come sono, ma partire da qui per modificare lo stato della coscienza delle cose. E questo lo ritengo un atto, se non rivoluzionario, certo, di forte riformismo della nostra percezione del mondo. Siamo tutti dentro il Nichilismo… ma, a ben guardare (o meglio, leggere il mio libro), ci sono delle differenze…

      • Giorgio Linguaglossa

        Trascrivo qui un commento inviatomi da Carla De Angelis:

        “La poesia è anarchia. E’ libertà individuale. Le sue leggi non sono quelle (false e gesuitiche) degli uomini volgari. Un poeta che va d’accordo con il can-can degli uomini comuni non è un poeta, è un impostore.”
        Luigi Bartolini

        Caro Giorgio, questo mi è stato insegnato dal poeta Luigi Bartolini, e mi sembra che tu sia in sintonia con questo modo di fare poesia. Ammiro il coraggio di dirlo. La poesia è esperienza diretta, emozione diretta, forse in questi anni è mancato uno stimolo forte per fare “poesia” ed è diventata troppo intimistica (la poesia lo è per sua natura). Essere ripiegati su se stessi non contribuisce ad una poesia “autentica”, ma anche l’irreale, la fantasia in poesia diventa realtà, la metafora ne fa parte. Si dice che oggi tutti scrivono, ma la stessa cosa è accaduta nel sedicesimo secolo, sarà come sempre il tempo dimenticare chi scrive (bene) ma non fa poesia. Tu scrivi:

        “Nella poesia degli Anni Dieci è evidente che il linguaggio tende a stare dalla parte della «cosa», più vicina alla «vita», e quest’ultima si scopre irrimediabilmente lontana dal «quotidiano»; sembra come per magia, allontanarsi dalla «vita» per via, direi, di un eccesso di intensità e di velocità.”

        Non vedo bene una poesia che come dici si scopre lontana dal quotidiano.
        Ora io non mi cimento nell’uso del termine “piccola borghesia” e nell’impiego che nel corso dei tempi gli si può dare. Ciò che dici mi appassiona e mi spinge a saperne di più.

        Carla De Angelis

  5. LIVIA

    La poesia è emozione, verità, cosa, immagine, sentimento e tanto altro.
    Ma cos’è la poesia per LInguaglossa?
    Livia

  6. I.v.a.n. Project

    Non date nessuna attenzione a Giorgio Linguaglossa. È un vate ottuagenario, maestro in concept marketing ad uso delle sue case editrici di riferimento e spara supercazzole letterarie degne di Heidegger.

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