DISCUSSIONE
Ancora sulla poesia di Eugenio De Signoribus

boxPur non condividendo né il contenuto né il tono di questo nuovo intervento di Giorgio Linguaglossa su una poesia di De Signoribus, lo pubblico, convinto che solo una riflessione approfondita (Cfr. anche il precedente post: qui) può chiarire i punti di disaccordo e aiutare a costruire un nuovo tipo di critica. Esprimerò nello spazio commento le ragioni del mio dissenso. [E.A]

GIORGIO LINGUAGLOSSA LEGGE UNA POESIA DI EUGENIO DE SIGNORIBUS

Caro Ennio,
riprendiamo il filo del discorso. Tu mi chiedi di spiegare meglio il mio pensiero critico sulla poesia di De Signoribus. Accetto. Prendiamo la poesia più “bella” del libro, quella riportata da Sandra Evangelisti insieme ad altre poesie. Leggiamola e cerchiamo di capirla:

dell’ignobile secolo dei secoli t’accompagna una bolla di
sgomento: tutte le magnificenti riedifiche avvengono
sopra sette strati di simboli e cadaveri….
i morti sono le fondamenta del tempo ventunesimo
dopo Cristo… e la soddisfazione dei rinnalzatori e
dei riabitatori non può essere pienamente sicura:
perché nessuna casa può più appartenere veramente
a qualcuno


La poesia inizia con l’aggettivo «dell’ignobile» attribuito a «secolo», subito dopo rafforzato dalla ripetizione «dei secoli» (il vecchissimo adagio “saecula saeculorm” delle preghere del catechismo) riferito al lettore col verbo «t’accompagna». Fermiamoci qui. È un inizio severo, di reprimenda, tipico del linguaggio di certe encicliche papali verso i peccati di tutto un «secolo». E fin qui nulla da eccepire. Si dirà che si tratta di un incipit alto-solenne, in tono ieratico, salmodiante, sacrale, per rafforzare la semantica di un qualcosa di numinoso che ci viene incontro, che avvolge il lettore e che sovrasta il «secolo». E fin qui si dirà che è lecito alla poesia vestirsi di toni liturgici, sacrali, salmodianti, catechizzanti così come altre forme di poesia si vestono di ambiti lessicali bassi, prosaici, disinibiti, leggeri, ironici, autoironici etc. Nulla da eccepire. La forma-poesia è libera di adottare tutte le strutture lessicali e semantiche che vuole, è libera nella sua espressione di libertà (concetto questo alquanto idealistico e acritico, ma soprassediamo). Sia chiaro, io non voglio discutere questo assunto, e non ho intenzione di discuterlo, lo dò per assodato. Amettiamo che la poesia è libera di assumere ogni abito lessicale e semantico che crede (accettiamo dunque questo assunto che non condivido e proseguiamo). La poesia assume da subito una intenzione fàtica, adotta una tecnica rafforzativa del lessico per indirizzare la comunicazione verso un sovrappiù di forza lessicale e semantica, forza diretta verso il lettore per indurlo in una condizione di supina accettazione di quanto sta per dirsi, perché la parola è numinosa, viene da lontano, e introdurlo in una condizione di attesa estatica, in una condizione di contemplazione della parola numinosa. Il lettore viene già da subito relegato in una condizione di dipendenza di quanto sta per dirsi e di ciò che la «voce» che pronunzia queste parole intende dire; e che cosa dice questa voce?, dice che l’«ignobile secolo» «t’accompagna»; siamo già ad un verdetto (e si dirà che la poesia è libera di pronunciare verdetti!), quante volte Dante nella Commedia mette in bocca ai suoi personaggi parole di condanna ed esprime verdetti?, ma, appunto, nella Commedia sono i personaggi che parlano, che si scontrano, c’è sempre un interlocutore in carne ed ossa che risponde, che replica ad un altro interlocutore (Dante e Virgilio si parlano di continuo, anche quando stanno zitti), non c’è mai una voce che solitaria domina ed esprime verdetti di condanna generalizzata (i peccatori della Commedia sono sì condannati all’Inferno ma secondo di una precisa regola matematica del computo dei loro peccati: la regola del contrappasso).

La poesia dunque assume un tono di condanna generalizzata e catechizzante, questo è fuori di dubbio, ma condanna verso chi?, ma è ovvio, è il lettore che subisce la parola numinosa; e per quale delitto, se così si può dire?, ma è ovvio, perché l’«ignobile secolo» lo «accompagna»!; è la voce “fuori campo” (l’autore si nasconde dietro la sua scrittura, proprio come Dio dietro i Dieci Comandamenti) della poesia che pronuncia il verdetto. Ma andiamo avanti. Le parole che seguono sono inequivoche: «una bolla di sgomento»; ancora un rafforzativo fàtico, ancora un sovrappiù lessicale e semantico, la poesia vuole accrescere il peso del senso di colpa nel lettore per disarmarlo e spingerlo ad accettare la parola alto-numinosa del poeta (fuori campo) che pronuncia la parola. Prendiamo atto di questa tecnica di accavallare rafforzativo a rafforzativo, vocativo a vocativo. Le parole che seguono raggiungono il diapason in vista del verdetto finale con questo teologismo «misterico»:
tutte le magnificenti riedifiche
Ancora questo uso del linguaggio in modo sibillino ed elusivo (mentre nella Commedia viene subito chiarito ai lettori di chi si sta parlando e che tipo di delitto abbia commesso): che cosa significano e a chi sono le rivolte le parole « magnificenti riedifiche»?; e che cosa sono queste misteriose «riedifiche»?; tutto viene lasciato alla immaginazione del lettore; e ancora altri rafforzativi che si accavallano ad altri rafforzativi: ecco qui la risposta alto-numinosa:
avvengono
sopra sette strati di simboli e cadaveri….
Qui la poesia vuole stupire, soggiogare il lettore adoperando una conduzione ipostatica e isotonica del lessico per aggiungere sacralità alla parola alto-numinosa già pronunciata e pronunciantesi. È la «voce» fuori campo che pronuncia la parola, analoga alla parola di Dio. Il linguaggio viene usato con finalità interdittoria, ultimativa, numinosa per intimidire il lettore e metterlo in soggezione. S’intende che l’autore adotta questa tecnica con perizia, è la tecnica dei sermoni religiosi che l’autore prende a prestito dal linguaggio pseudobiblico e da quello dei sermoni del catechismo. Credo che questo sia indiscutibile. Quella citazione dei «sette strati di cadaveri e di simboli» è una fraseologia ad effetto presa a prestito dal linguaggio pseudo biblico dei sermoni del Seicento. E fin qui nulla di strano, si dirà che la poesia può attingere dovunque (in proposito avrei qualche dubbio sulla bontà di questo assioma, ma andiamo avanti). Quello che io da semplice lettore eccepisco è che finora tutta questa terminologia è di derivazione fin troppo scoperta, troppo citata, troppo scontata, troppo esplicita direi, tra l’altro, con l’impiego di una tecnica che fa uso del rafforzativo alla ennesima potenza. Insomma, la poesia va dal rafforzativo al rafforzativo, non ha un momento di diversione, di distensione, non intervengono mai persone in carne ed ossa, identificabili, ma il« tutto» aleggia in un vuoto creato apposta per intimidire e stupefare; si vuole imbonire il lettore, assopirlo, addormentarlo sotto l’incalzare di fraseologie seicentesche della Controriforma costipate e adattate alla bisogna. L’effetto che ne consegue è quello di uno stile monarchico, di una monarchia assoluta e di un Dio assoluto la cui «voce» è fuori campo: una monotonia e uniformità lessicale e di immagini le quali vogliono avere l’effetto del martello che batte sull’incudine: stordire il lettore, convincerlo che qui siamo in un ambito semantico e simbolico di carattere liturgico, e quindi inattacabile, invulnerabile, insormontabile e che sotto accusa è nientemeno che quell’«ignobile secolo» tutto in blocco. Una condanna senza appello. Si dirà che la poesia può, anzi deve, condannare il proprio secolo. E io rispondo: certo che può ma dovrebbe farlo usando i tropi, le metafore, le sinonimie, la sineddoche, l’allegoria, le personificazioni etc. dovrebbe farlo con l’impiego dei tropi del linguaggio letterario, se non tutti almeno una parte di essi. Qui invece l’autore impiega sempre il solito ritornello del linguaggio liturgico impiegato come un grimaldello, un batti e ribatti, come un martello sull’incudine, come un esorcista quando blatera il suo abracadabra, con parole magico-numinose per irretire il lettore e convincerlo ad accettare il verdetto di condanna. Ma proseguiamo nella lettura:

i morti sono le fondamenta del tempo ventunesimo
dopo Cristo…

Qui non ci sono metafore o immagini, le quali in questo contesto inficierebbero la monotonalità del sermoneggiare liturgico, l’autore ricorre al solito impiego del rafforzativo: subentra la parola «i morti» i quali sarebbero «le fondamenta del tempo ventunesimo dopo Cristo…». C’è qui un impiego, anche abile lo riconosco, dell’isomorfismo e dell’ipotonismo dei sintagmi lessicali, i monemi vengono applicati su uno schema vuoto, su una impalcatura preordinata a tavolino con effetti di monotonia e di ipotonia, schema che non presenta mai alternative lessicali, timbriche e semantiche ma che batte e ribatte sul medesimo tasto, sul medesimo effetto timbrico di un tasto di pianoforte. C’è tutto un gioco di rincalzo e di incastro di proposizioni ultimative che innescano una sensazione di monotonia (i cosiddetti segni di rincalzo) di accrescimento semantico propria dei sermoni religiosi. Da notare il sintagma accrescitivo ultimativo «del tempo ventunesimo dopo Cristo», che vuole alludere al sortilegio del negativo che avvolge il secolo intero. Direi troppo facile, troppo scontato. Pur ammettendo l’intenzione dell’autore di incriminare tutto un «secolo» il linguaggio poetico richiederebbe l’introduzione di sostituti, di tropi, di metafore, etc., ma l’autore utlizza un solo espediente retorico e lo ripete in modo ossessivo e percussivo fino alla monotonia: la tecnica del sermone religioso. Passiamo ai due versi seguenti:

e la soddisfazione dei rinnalzatori e
dei riabitatori non può essere pienamente sicura:

Ammetto la mia incapacità a capire chi siano codesti «rinnalzatori» e «riabilitatori»; qui sono costretto a dichiarare apertis verbis i miei limiti di lettore, non capisco con chi ce l’abbia l’autore, chi siano le persone indicate con quei termini così generici che può entrarci di tutto; cioè ciascuno è libero di farci entrare chiunque creda. Non ritengo che questo sia l’uffizio di un testo poetico, qui non c’entra affatto il principio dell’ambiguità del testo, qui siamo davanti ad un accorgimento (tra l’altro molto scoperto) letterario per creare quell’atmosfera di suspence e di interdizione morale… e poi la parola «soddisfazione» sintatticamente attribuita alla frase «non può essere pienamente sicura» non significa niente, non vedo che cosa possa significare, se non la solita tecnica di aggiungere ambiguità a genericità verso una generalità indistinta.
Passiamo all’ultima frase:

perché nessuna casa può più appartenere veramente
a qualcuno

C’è in questa proposizione assertoria tutta una imbonitoria «filosofia della profondità», una tecnica di porre il discorso sintattico in una evidenza tale da far trasparire una «profondità» che invece nella testualità non c’è: è un espediente retorico utilizzato nei sermoni religiosi del Seicento, un modus di porre nella sintassi il pensiero per amputare il pensiero, un modo per rendere la sintassi liquida, non più veicolo di un pensiero preciso e circostanziato (mediante tropi, metafore, immagini, personaggi, oggetti, traslati, etc.) ma veicolo di una retorizzazione che vuole apparire, che vuole festeggiare la parola numinosa-sacrale della «voce» fuori campo, che vuole far mostra di un discorso monitorio, alto-numinoso, enfatico.

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74 risposte a “DISCUSSIONE
Ancora sulla poesia di Eugenio De Signoribus

  1. Ennio Abate

    PER UNA LETTURA NON PERSECUTORIA DELLA POESIA DI DE SIGNORIBUS

    1.
    Parto da un semplice tentativo di analisi del testo esaminato da Linguaglossa, da una parafrasi esplicativa fatta a caldo sulla base di una prima lettura; e aggiungo tra parentesi quadre mie supposizioni che dovrebbero rendere più chiaro il senso del testo stesso:

    Una bolla di sgomento [che si forma nell’animo di chi viene a sapere quanto orrendi sono stati gli eventi] dell’ignobile secolo[potrebbe essere il Novecento] ti accompagna [il ‘tu’ a cui si rivolge l’autore può essere un lettore o può essere il tipico tu/io della tradizione lirica].

    [Nella storia umana] tutte le magnificenti [splendide, magnifiche] riedifiche [ricostruzioni] avvengono sopra sette strati di simboli e cadaveri [ i simboli, cioè quel che resta di eventi e personaggi che segnarono il loro tempo; i cadaveri, cioè la distruttività che caratterizza una parte della vita umana e la sua storia]…

    i morti sono le fondamenta del tempo ventunesimo dopo Cristo [il ventunesimo secolo dopo Cristo ha le sue basi, fragili ed orride, nella morte, nei morti, nella distruttività prodotte da guerre, carestie, malattie, ecc.]…

    e [perciò] la soddisfazione dei rinnalzatori [di quelli che innalzano nuovamente costruzioni di ogni genere (dalle torri babilonesi ai grattacieli) e s’illudono di costruire o ricostruire la civiltà dopo una precedente guerra o catastrofe] e dei riabilitatori [ coloro che rendono di nuovo attivi i rapporti tra gli uomini; oppure: quelli che restituiscono onore e dignità a quanti erano stati prima repressi emarginati da quelli che prima dominavano e ora sono stati vinti] non può essere pienamente sicura [non è mai duratura, solida, garantita] :

    perché nessuna casa può più appartenere veramente a qualcuno [se la storia è così distruttiva e la vita degli uomini è così fragile nulla veramente – neppure la casa, simbolo di stabilità, di sicurezza – può dare il senso tranquillizzante del possesso]

    2.
    Mi pare evidente che, pur mancandomi informazioni utili sull’autore (che non conosco) e sulla sua opera ( non so se questa poesia possa essere letta fuori dal contesto della raccolta «Ronda dei conversi»; non conosco l’opera generale di De Signoribus, ora raccolta in volume unico dalla Garzanti), a me (ma penso anche ad altri) è possibile approssimarmi al testo, “ascoltarlo”, cominciare a interrogarne il senso, acquisire elementi per un giudizio (successivo) fondato.
    Il primo effetto che hanno avuto questi versi su di me – lettore non prevenuto ma disponibile a capire che tipo di poesia ha di fronte e a conoscere ( che non significa approvare o fare suo) il mondo ideale dell’autore – non è sconvolgente. C’intravvedo un forte pessimismo nei confronti della storia, una sfiducia verso gli sforzi di costruire civiltà, un’angoscia ossessiva (lo «sgomento») verso l’incombere della morte sulla condizione umana. Capisco di trovarmi di fronte ad un poeta che ha una visione religiosa delle cose. Colgo le sue scelte lessicali ricercate, la sua sintassi da verso lungo che induce a riflettere, un tono basso e pacato, meditabondo, sì. Ma nulla di quello che vi vede Giorgio Linguaglossa.

    3.
    In confronto alla mia, la sua lettura (attenzione: questa è la seconda o la terza che fa della stessa poesia, se tengo conto anche di quella che mi fece leggere in privato, prima che io decidessi di pubblicare sul blog le poesie di De Signoribus; ed è molto più pacata, raffreddata di quelle) mi pare talmente proiettiva e ipersoggettiva da fargli perdere il controllo critico e una certa distanza dal testo e dall’autore.
    Cosa proietta Giorgio su questo testo di De Signoribus? Direi una sua visione di fondo nicciana e paganeggiante in aspro contrasto con la visione del testo di De Signoribus, indubbiamente d’ispirazione religiosa o con echi religiosi e utopici.Mi pare che sia questo contenuto che egli non tollera, non sopporta. E che farebbe bene a criticare. Ma non a travisare, finendo per dire più di sé come critico che del testo e dell’autore esaminato.
    Criticare non è tartassare, non è processare (le intenzioni religiose o d’altro tipo dell’autore esaminato), non è liquidare, non è disprezzare né il testo esaminato (fino a giudicarlo «non poesia») né (in seconda istanza) la persona che stiamo valutando.

    4.
    Si legga, ad es., il commento da lui pubblicato il 17 settembre 2013 alle 07:49 da cui ho stralciato queste affermazioni:

    1.
    “ritengo che l’autore sia stato colpito da un colpo apoplettico con conseguente dislessia neurolettica e neurovegetativa con conseguente disformismo monemico.”
    1.1.
    “l’autore appare come invasato”
    1.2.
    “non si capisce nemmeno con chi se la prende l’autore se non con una «indefinita genìa», una generalità, contro la specie umana nel suo complesso”
    1.3.
    “Purtroppo, io come critico su questo sfogo personale non ho nulla da commentare, dico commentare nel senso della critica letteraria.”

    Viene da chiedersi cosa differenzia De Signoribus, che secondo Giorgio se la prenderebbe con la specie umana nel suo complesso, da lui, Linguaglossa, che se la prende con De Signoribus. Linguaglossa sembra difendere la “specie umana” dalle accuse ingiuste di De Signoribus. Ma De Signoribus non fa parte della stessa “specie umana”? È un extraterrestre? E poi rientra in un discorso di critica letteraria quanto scritto da Linguaglossa al punto 1? E se, come egli afferma in 1.3, non ci sono elementi per “commentare nel senso della critica letteraria”, perché commenta lo stesso e ripetutamente, attaccando la persona De Signoribus?

    5.
    È questo accanimento, per me persecutorio, che mi pare inaccettabile in un critico. E in questa sua nuova lettura l’accanimento si svela nel ripetere numerose volte le stesse critiche. Per la precisione dovrei dire: accuse. Perché il tono fuoriesce dal discorso critico e pare davvero quello di un Pubblico Ministero della Poesia che deve stracciare un incompetente, una nullità, che chissà con quali intrighi è riuscito persino ad ottenere riconoscimenti da parte dei poeti “laureati” .

    6.
    Ho provato pazientemente a classificare queste sue accuse (non critiche!) e ad indicare, per ciascuna, le frasi in cui lo stesso concetto viene, appunto, ripetuto con qualche variazione. Ecco la tabella:

    PRIMA ACCUSA
    De Signoribus è liturgico, controrifomista, misterico, sermoneggiante:

    1. tono ieratico, salmodiante, sacrale
    2. qualcosa di numinoso che ci viene incontro,
    3. toni liturgici, sacrali, salmodianti, catechizzanti
    4.verdetto finale con questo teologismo «misterico»: tutte le magnificenti riedifiche
    5. questo uso del linguaggio in modo sibillino ed elusivo
    6. che cosa sono queste misteriose «riedifiche»?
    7. conduzione ipostatica e isotonica del lessico per aggiungere sacralità alla parola alto-numinosa
    8. finalità interdittoria, ultimativa, numinosa
    9. è la tecnica dei sermoni religiosi che l’autore prende a prestito dal linguaggio pseudobiblico e da quello dei sermoni del catechismo
    10. fraseologia ad effetto presa a prestito dal linguaggio pseudo biblico dei sermoni del Seicento
    11. fraseologie seicentesche della Controriforma
    12. siamo in un ambito semantico e simbolico di carattere liturgico, e quindi inattacabile, invulnerabile, insormontabile
    13. il solito ritornello del linguaggio liturgico
    14. la monotonalità del sermoneggiare liturgico,
    15. un espediente retorico utilizzato nei sermoni religiosi del Seicento
    16. vuole festeggiare la parola numinosa-sacrale della «voce» fuori campo

    SECONDA ACCUSA
    De Signoribus vuole intimidire, plagiare, soggiogare il lettore:

    1. È un inizio severo, di reprimenda, tipico del linguaggio di certe encicliche papali verso i peccati di tutto un «secolo»
    2. una intenzione fàtica, adotta una tecnica rafforzativa del lessico per indirizzare la comunicazione verso un sovrappiù di forza lessicale e semantica, forza diretta verso il lettore per indurlo in una condizione di supina accettazione di quanto sta per dirsi
    3. Il lettore viene già da subito relegato in una condizione di dipendenza
    4. condanna verso chi?, ma è ovvio, è il lettore che subisce la parola numinosa;
    5. , la poesia vuole accrescere il peso del senso di colpa nel lettore per disarmarlo e spingerlo ad accettare la parola alto-numinosa del poeta (fuori campo) che pronuncia la parola.
    6. la poesia vuole stupire, soggiogare il lettore

    TERZA ACCUSA
    De Signoribus è un giudice non un poeta:

    1. siamo già ad un verdetto
    2. esprime verdetti di condanna generalizzata
    3. La poesia dunque assume un tono di condanna generalizzata e catechizzante
    4. Una condanna senza appello
    5. proposizioni ultimative

    7.
    Malgrado il tentativo, in questa ulteriore lettura di apparire più moderato, Giorgio fa solo delle concessioni poco convinte e pleonastiche:
    – «Ammettiamo che la poesia è libera di assumere ogni abito lessicale e semantico che crede (accettiamo dunque questo assunto che non condivido e proseguiamo)»;
    – «Una condanna senza appello. Si dirà che la poesia può, anzi deve, condannare il proprio secolo. E io rispondo: certo che può»)

    Perché subito dopo arriva “al sodo” e non esita a presentare una sua precettistica: sì, un poeta può usare il lessico che vuole e dare alle parole il significato che vuole, ma…«dovrebbe farlo usando i tropi, le metafore, le sinonimie, la sineddoche, l’allegoria, le personificazioni etc. dovrebbe farlo con l’impiego dei tropi del linguaggio letterario, se non tutti almeno una parte di essi».
    Quindi, se alcune di questi tratti costanti o tipici della tradizione poetica non ci sono nei vers i esaminati – in questo caso di De Signoribus – saremmo davanti alla «non poesia» (come ha scritto in precedenti commenti).

    8.
    Concludendo. Va bene che chi pratica una critica soggettivistica in un testo può trovarci o proiettarci quello che vuole. Ma quel che ne viene fuori la definirei una “critica del pelo nell’uovo” . O, peggio, una critica da tribunale inquisitorio ( e si noti – a proposito di proiezioni! – che è questo tono inquisitorio e controformistico che Linguaglossa attribuisce – a mio parere senza fondamento – a De Signoribus). Ora io non so se questa poesia di De Signoribus sia la più bella della raccolta. O se De Signoribus meriti davvero l’apprezzamento che ha ricevuto da Giudici o da altri autorevoli “boss” della poesia. O se, come insinua Laura Canciani in un suo ultimo commento (16 settembre 2013 alle 11:58), se De Signoribus appartenga alla schiera di quegli autori che « si appoggiano alle strutture di potere dei cattolici» e per questo« infarciscono i propri scritti di parafrasi delle scritture bibliche». Di questo si può discutere e dare valutazioni sia morali che politiche sul personaggio. Ma non si devono automaticamente confondere i piani del discorso. Non si deve andare a cercare in ogni parola che un autore scrive *soltanto* la “prova” della sua connivenza con poteri che disapproviamo. Perché ci può essere di più dell’ideologia religiosa o atea o razzista pofessata da quell’autore. Si pensi a Céline e a tanti altri autori reazionari che pur hanno scritto cose ammirevoli. Questo va detto affinché la critica sia critica (aggiungerei: possibilmente *dialogante*) e non processo.

    • Ambra Simeone

      buongiorno a tutti,

      mi sembra di capire, ma forse mi sbaglio, che i due metodi di lettura dei due critici sono importanti entrambi, ma uno all’opposto dell’altro, e non tanto in base alla simpatia o antipatia dell’autore De Signoribus o della sua poesia, ma perché vedo nella lettura di Abate, una lettura critica basata ancora sulla decodificazione di un testo, (che ha bisogno per forza di cose, di specificazione e traduzione, altrimenti sarebbe solo un insieme di immagini lanciate cosi, a caso, perché qualcuno di buona volontà riesca a comprenderne il senso, ma solo secondo il proprio soggettivo, e non secondo quello che oggettivamente vorrebbe dire l’autore, perché quello che oggettivamente vuole dire l’autore è nascosto da lui stesso) mentre quella di Linguaglossa è una lettura critica basata sul “modus operandi” di De Signoribus, che delinea una poesia lontana dal dialogo onesto con il lettore, ma che sembra voglia metterlo in scacco, metterlo in secondo piano, lasciarlo vagare in una nebbia di parole e simboli volutamente incomprensibili. Per questo motivo, pur apprezzando lo sforzo critico di Abate che cerca di parafrasare la poesia (e qui mi chiedo perché un autore debba lasciare quesiti aperti, visto che scrive, mi auguro, per comunicare qualcosa, e che se vuole farlo davvero, non dovrebbe lasciare nulla di intentato e nulla di facilmente fraintendibile) dico di trovarmi pienamente d’accordo con la lettura critica di Linguagossa, che tra l’altro vede, non a caso, quel pizzico di “religiosità” (intesa come “potere mistico, quasi messianico” e non come sentire privato e intimo) in tutto questo parlare senza farsi capire, insomma mi sembra di cogliere nello sforzo di parafrasi al testo, l’antico sforzo del prete medioevale di interpretare le sacre scritture e la parola del divino, a favore di una plebe incolta.

      • Ennio Abate

        @ Simeone

        Non discuto le sue preferenze. Le faccio però solo notare che un testo poetico si differenzia da un testo scientifico proprio perché mai univoco (anche se l’autore lo pensasse così). Quindi, richiedere a un poeta di non «lasciare nulla di intentato e nulla di facilmente fraintendibile» significherebbe pretendere di ridurre la poesia alla scienza. Non ne verrebbe vantaggio per nessuno.

        Veda poi che la religiosità la riconosco io pure in De Signoribus. L’oggetto della contesa (o da chiarire) è se uno, che ha una visione religiosa, possa o no fare poesia. Gli esempi non mancano. Quindi tutto l’insistere o l’enfasi che Linguaglossa (e a questo punto devo dire anche quelli che approvano il suo punto di vista) sul fatto che De Signoribus è prete, chierico, liturgico, controriformista o si pone addirittura dal punto di vista di Dio, ecc. mi sembra sbagliata e distrae dalla valutazione più serena e meno soggettivo della sua poesia. Che anzi per Linguaglossa non ci sarebbe neppure. Quindi si sbagliano tutti quelli che apprezzano o hanno dato riconoscimenti importanti a De Signoribus? E Linguaglossa è l’unico critico anticonformista che ha il coraggio di gridare che “il re (De Signoribus) è nudo”? Non le pare una tesi un po’ sospetta o quantomeno da controllare?
        Faccia lei.

      • Ambra Simeone

        gentile Ennio Abate,

        sono d’accordo con lei sul fatto che la poesia non debba essere ridotta a scienza, ma cosa diventa la poesia, una volta che ci si mette a tavolino, e appositamente si cerca di costruire chirurgicamente una “torre di babele”, davvero molto bella lo ammetto, ma incomprensibile ai più, se non proprio una specie di “trattato scientifico” per gli addetti ai lavori? così si finisce solo per ipnotizzare tutti questi “addetti ai lavori”, lasciando da parte gli altri. e gli altri? poi non dobbiamo lamentarci, quando ci dicono che la poesia è lontana dal grande pubblico, non sarà mica per questo?

        tra l’altro, non ho mai messo in dubbio la cultura o la bravura del De Signoribus, e per me non sbagliano tutti quelli che dicono che la poesia dell’autore sia poesia, ma solo che forse qualcuno non ha capito, che la metodologia con la quale vorrebbe trasmettere un messaggio (e con lui molti altri poeti) è oscura e saccente, e non capisco a chi o come possa servire (nel senso in cui le parole “sono a servizio” del capire, del commuoversi, del conoscere, del lasciarsi trasportare, del creare indignazione o approvazione) al lettore, tanto più che come dice lei stesso, davvero in questo modo, nessuno ne avrebbe a vantaggio.

  2. Laura Canciani

    gent.mo Abate,
    già nel titolo del suo pezzo: «Per una lettura non persecutoria di una poesia di D.S.», lei muove a Linguaglossa una accusa infamante: come se la lettura del critico fosse inficiata da un preconcetto «personalistico» e «persecutorio»; mi lasci dire che invece è la sua contro lettura ad essere persecutoria e intimidatoria nei confronti di Linguaglossa, oltre che oltremodo scorretta, ne fa una questione personale da risolvere con le accuse infamanti ché vorrebbero insinuare la disonestà intellettuale del critico. Lei non propone una diversa lettura del testo dell’autore in questione, lei si limita a diffamare la critica del testo che fa Linguaglossa il quale partirebbe da un intento «persecutorio».
    Mi lasci dire che questo è un comportamento deontologicamente scorretto. Lei poteva, se voleva, offrire una diversa lettura della poesia in questione. Ma non l’ha fatto, si è limitato a fare insinuazioni scorrette sull’onestà del critico dichiarando che ne fa una questione «personale», che parte da «pregiudizi» e da animosità personale.
    Io credo invece che i lettori sono intelligenti e sapranno farsi una idea precisa della querelle leggendo direttamente le rispettive argomentazioni.

  3. Ennio Abate

    @ Canciani

    Si sbaglia e di grosso. Ho argomentato a sufficienza le mie tesi. Entri nel merito punto per punto, come io ho fatto con il testo critico di Linguaglossa; e non si limiti a fare deduzioni tutte sue. Dove insinuo “la disonestà intellettuale del critico”? Dove mi limiterei a “diffamare”? Il mio compito poi me l’assegno da solo; e non me lo faccio assegnare da lei. Non *devo* “offrire una diversa lettura della poesia in questione”.Più banalmente, perché a questo punto siamo, sto cercando di fa riconoscere che il testo di De Signoribus *è* poesia e non *non poesia*, come ha scritto in un suo commento Giorgio.

  4. Arringa in difesa di De Signoribus.
    Questioni di metodo, o di metodi al tramonto. Il metodo solitamente si pone al di sopra dell’opera affinché sia essa a salire a determinati parametri, e penso a Croce. In sua assenza si partirà dall’opera per discendere, anche nel caso in cui non si sappia con precisione dove si andrà a finire. L’interpretazione di Linguaglossa mi sembra appartenga alla seconda ipotesi, che poi è quella che preferisco perché chiede al critico il coraggio di porsi sulla linea di partenza, di fianco all’autore. Sbaglierò, ma penso che, nel bene o nel male, questa sia la posizione di molti critici negli ultimi decenni. Tuttavia, per avvalorare le proprie analisi, solitamente il critico considera gli aspetti storiografici, si fa un po’ giornalista oltre che detective. Va bene che siamo su un blog e non ci si può dilungare, ma portando Dante a De Signoribus, come non ci fossero altri in vista, si va incontro a sicura sconfitta perché involontariamente se ne sta riconoscendo l’eccellenza. Questo dicono i fatti, le prove non sono sufficienti. In quale girone lo possiamo mettere ora De Signoribus? In una cella da solo o in compagnia di qualche suo simile? Tra i post ottocentisti e i pre montaliani? Nel passato, nel divenire o nei pressi di qualche parrocchia come vorrebbe Linguaglossa? Secondo me l’imbarazzo è dato proprio dall’eccellenza, che può essere un paludamento, qualcosa che si manifesta solo nell’esteriorità, ma che è anche un risultato a cui difficilmente si può pervenire. L’esempio di Dante portato da Linguaglossa non giova al suo istinto, al fiuto infallibile che gli riconosciamo. Per parte mia dico questo: la modernità di De Signoribus non può stare nell’uso dei punti di sospensione, mi pare li fece notare Rita Simonitto, sarebbe troppo poco. Piuttosto, non è il linguaggio prosastico, ma ancora accentuativo, che lo collega stilisticamente al passato ponendo la sua poesia in quell’ideale collettivo che chiamiamo tradizione? Se così fosse De Signoribus sarebbe un gran poeta pop… Perché dico gran poeta? Perché nessuna casa può più appartenere veramente a qualcuno. Accidenti se non è un gran verso.

  5. ro

    Ciao a tutti, premetto una cosa, che è un chiedervi scusa in anticipo ma presente, anche se invisibile, mentre scriverò(ovviamente di getto, ma dopo aver riflettuto sulla “partita”).

    Partirei così: de lunibus, pardon de gustibus(accipicchia sbaglio in continuo), volevo dire de filippibus, De Filippibus est disputandum? O ancora: essere E non essere De Filippibus, questo il problema? purtroppo mi distrae quell’azzecosissimo ring, scelto da Abate per continuare la partita, ma il problema è l’arbitro e io non lo sarei….mi sembra “un gioco” ma il problema è che non conosco le regole di questo tipo di pugilato, tranne quelle che a tratti e un po’ duramente ricorderebbe ad esempio L.Canciani, laddove contesterebbe ad Abate la strumentalizzazione del tutto con assenza di una critica al testo e presenza assoluta di una critica alla critica. Come staranno le cose ? per chi non è addetto ai lavori, in quanto assolutamente privo delle competenze richieste a una profonda analisi dei testi e un altrettanto vasta capacità critica letteraria, come si presenta la possibilità di imparare anche solo ad affinare i gusti e gli strumenti delle scelte poetiche?

    il ring continua a distrarmi così pure i due pugili (chiedo scusa, vedi sopra). Si direbbe che lo sport da loro scelto (o capitato fra capo e collo? solo per uno? per entrambi? per destino critico?) li metta in difficoltà ma anche in una certa sfida: il problema è capire quanto e come questo sport mantenga le radici popolari e al contempo estremamente nobili…ad esempio, classico esempio, senza colpi bassi fra loro ma soprattutto evitando di espanderli, farli lievitare, allargare al /negli altri (assenti o ) presenti attorno al ring, dagli arbitri al pubblico, fra i tifosi dell’uno o dell’altro e fra gli addetti alla preparazione atletica ma anche più umili inservienti, altrettanto indispensabili, alle pulizie di tutto il sudore sparso dai due boxeur ad ogni round, pena lo scivolamento e la caduta acrobatica, ma pur sempre caduta (non solo dei boxeur).

    A proposito di “pedana”, il problema -oltre le misure della stessa (traslando vedete voi quanti risvolti può avere sia in termini del fare Poesia, sia del fare Critica)- grande grande che io ravvedo nei testi di De Signoribus, è che sono almeno all’apparenza estremamente politici. Su questa pedana i due pugili è abbastanza scontato che si daranno quanti più cazzotti possibili, ovviamente meno scontate quali sono quelli consentiti dall’arte nobile e popolare dellle loro scazzottate. Dove sta il pericolo di questi tempi molto spettacolari, e anche un po’ militarizzati, un po’ per tutto? Che i toni “grilleschi” della poesia di De Signoribus, scatenino tutta la tecnica (e anche la tecnologia possibile, se in poesia esistessero già i droni) sia nelle armi del primo pugile che del secondo.Dnque fino a che punto avrebbero usato solo le mani, senza polvere da sparo e senza altro di ulteriormente armato? Quanto e come questa partita (pre)cede e (in)segue altre partite? come viene condizionata da una mutazione antropologica che gia vediamo( e critichiamo) avvenuta su piani mediatici di altre partite? Il pro e il contro aiuta l’allenamento poetico e critico che piu sta a cuore tanto al primo pugile, quanto al secondo? Per animarlo ci vogliono poeti dio scesi in terra come grillo? a prenderci tutti a mazzate come zombie, per incassare facile consenso? o invece non è così?ossia il deh in questione e i suoi testi (ripuliti da ombre di sette religiose che di sacro e spirituale ha ben poco), dicono solo il sacrosanto urlo che ognuno di noi, contorcendosi di dolore, dovrebbe saper articolare, anche senz’alcuna capacità lirica -poetica?

    ps
    Non conosco il deh in questione, il poco che qui ho letto proposto da Ennio, dopo un po’ mi stona e non tanto per i toni apocalittici o apoplettici che siano (ho una visione dellle cose del mondo per cui l’apocalisse è già avvenuta e non ce ne siamo manco accorti, se non in tre gatti fra cui non sono sicura ci sia il poeta questione)…mi stona perché non sento amore, ma temi e tecniche che di questi tempi possono avere facile presa (e quindi anche un po’ di resa), tipici di quella parte che assente un dio che parla alla terra e ai suoi uomini, li bastona al suo posto, fuori e dentro il ring. Se tutto questo può servire, vista la pedana politica scelta dal poeta, ad accendere nel senso pieno qualche lampadina delle coscienze, di addetti ai lavori e non (leggi lettori), allora il prezzo di una poetica “apoplettica”, era da pagare, ma altrimenti a che pro?

  6. Inizio con un giudizio basato sul mio gusto personale: i giudizi critici espressi da Giorgio Linguaglossa mi piacciono tanto. Perché? Perché sono calibrati, sobri ed appassionati al tempo stesso, e non è facile trovare certe caratteristiche nella saggistica e nella prosa odierne. Ci sono competenza, preparazione ,classe ed eleganza. Venendo a questa analisi sui versi di De Signoribus, mi perdoni Ennio Abate, ma io la trovo calzante a pennello, quasi perfetta. Non ci sono provocazioni, né persecuzioni, né ripetizioni o esagerazioni. Il paganesimo e la religione non c’entrano niente. Qui parla il linguista, il filologo.
    Il linguista analizza sobriamente e punto per punto il testo ed ogni parola, le collega fra loro e ci dà una visione d’insieme del testo, con riferimenti linguistici, storici e filologici, senza personalizzazioni. E’ un’analisi scientifica. La religiosità non c’entra. Qui parla lo studioso. E mi dirà Abate che le idee personali non si possono cancellare, che non esiste la “tabula rasa”. Beh, a Linguaglossa non piace la poesia di De Signoribus, questo si capisce, ma ce lo motiva esaurientemente.
    Adesso mi cimento io con un’analisi meno tecnica e sapiente, non da linguista, ma da lettrice appassionata, e di altre poesie e vi conduco(o almeno provo) lungo un cammino esente da retorica e filologia, solo parafrasi e analisi logica e del periodo, strumenti semplici da scuola superiore. Queste le poesie:

    I
    un letto povero strutturalmente
    possibilmente comodo
    un catino?va bene
    ma che sia l’acqua pulita!
    il cesso? non importa
    ma c’è la carta igienica?

    II

    scaffali tanti però
    quante sono le pareti
    – e la porta?-
    – muratela!
    – entrerò dal soffitto

    III

    – e per il televisore,signore?-
    ah sì ecco(vediamo) pagabile a rate
    piuttosto piccine
    vorrei (vediamo) un bianconero portatile
    e uno grande a colori, sì ecco (vediamo)
    le antenne tutte però
    slave e parigine!

    IV

    e questa è la stanza buona
    da abitare la domenica!
    oltre quelle finestre
    chiuse coi loro tarli tenaci
    non c’è beltà che tenga
    non c’è sirena

    (dubito? affermo?
    chi vuoi si prenda pena
    dei miei flussi d’amore?)

    ma sì, che resti questo odore
    di buio canforato
    denso come cent’anni
    di respiri non dispersi

    (che anno fu quell’anno
    Che fece tanta neve?)

    V

    qui, non visto, potrò stare
    sopra la folla meccanica
    nell’avantindietro meccanico
    augure dal corpo d’uccello

    e all’accomiatarsi d’ogni dì feroce
    io senza sosta potrò prendermi la notte
    e studiarne i buchi neri del consistere
    in attesa di segnali luminosi
    (ma voi, cerco di ricordare, barlume
    che s’incugna nella testa,
    le vostre facce, dico, non mi sono
    nuove né molto liete le vostre parvenze!….)

    Eugenio De Signoribus da Poesie (1976-2007), Garzanti, 2008
    “Casa perduta”, 1976
    Ho trascritto i primi versi della raccolta che risalgono al 1976, lontani per epoca e forma da quelli di Ronda dei conversi del 2005. Ma la posizione in cui si pone il poeta nel narrare è la stessa. E’ un io che guarda dall’alto, da fuori, in una posizione esterna, non partecipe(almeno apparentemente).
    E ce lo dice con chiarezza: “qui, non visto, potrò stare/ sopra la folla meccanica /nell’avantindietro meccanico/ augure dal corpo d’uccello”
    “Augure”, cioè sacerdote che interpreta il linguaggio degli dei, o di Dio. Ce lo dice lui stesso. Chi scrive assume una posizione altra e alta, superiore a quella del lettore e si fa così portavoce da questa sua “torre” della voce dell’eterno e dell’assoluto.
    Ha un corpo d’uccello e quindi simbolicamente è dotato di ali che gli consentono di volare al disopra delle nostre misere e poco lungimiranti visuali.
    Tornando alla prima parte che non ho analizzato, vedo uno sguardo pessimista sulla realtà, ma non frutto di dolore e di sconforto, quanto più di una visione altezzosa e di superiorità sul reale. Persino il letto è “povero strutturalmente”, ma deve essere possibilmente comodo. Il catino, sì va bene, ma almeno che l’acqua sia pulita.
    Si descrive una condizione di povertà materiale sopportata a mala pena e analizzando la struttura del letto. Chi dopo avere passato la notte su un letto scomodo pensa alla sua “povertà strutturale”. Verrebbe in mente di tutto: un materasso scomodo e vecchio, la rete rotta e scricchiolante, i vecchi letti in ferro a una piazza stretti e corti in cui da bambini si dormiva con i piedi fuori, ma non questo “povero strutturalmente”. E’ uno schiaffo allo scoramento della povertà. Che sia lo stesso se non c’è il cesso, ed è sufficiente la carta…..ma mi sembra più un gioco di parole che un asserzione sincera. Sì, ricordo che un tempo, alcune case di campagna avevano il bagno fuori, o non l’avevano affatto e allora si usava defecare all’aperto muniti di foglie di castagno in montagna (al mio paese d’origine) o di altro tipo di supporto vegetale in altri luoghi. Ma mi sembra poco probabile che il protagonista del quadretto in questione abbia sofferto tale situazione realmente.
    Andando avanti troviamo un’esortazione a murare la porta: “entrerò dal soffitto!”.
    E anche qui l’affermazione suona poco sincera un po’ prosastica, costruita, come a darci l’immagine di questo “augure” che vuole isolarsi dal mondo intero, per potere lui sì dare vera interpretazione ai segni della volontà superiore.
    Anche la stanza “della domenica” non fa buona impressione al protagonista.
    “Oltre quelle finestre/ chiuse coi loro tarli tenaci/ non c’è beltà che tenga /non c’è sirena”
    E poi : “ma sì che resti questo odore/ di buio canforato/ denso come cent’anni/di respiri non dispersi”
    L’immagine è sempre quella della chiusura negativa al mondo. Nella stanza più bella della casa quello che colpisce sono i tarli delle finestre, dietro le quali già si dà per scontato che non ci sia bellezza che tenga, e l’odore di chiuso della stanza, che però è meglio che resti.
    Prigionieri di una chiusura. La visione è negativa, senz’altro. Le finestre coi tarli potrebbero evocare la bellezza di un’antica casa che custodisce storie antiche, l’odore della canfora, che un tempo veniva usata dalle donne per preservare dal tempo quei pochi abiti della domenica e delle buone occasioni che la famiglia poteva permettersi, potrebbe fare immaginare la storia delle pareti i respiri che le hanno abitate. Il primo impulso potrebbe essere quello di spalancare le antiche porte al sole. Invece no. Il poeta si chiude nella stanza e “all’accomiatarsi d’ogni dì feroce/io senza sosta potrò prendermi la notte/e studiarne i buchi neri del consistere /in attesa di segnali luminosi”
    C’è una posizione di solitudine vissuta con alienazione rispetto a cose e a persone, nella posizione del sacerdote che legge i segni del destino.
    Mi pare più o meno quello che legge Giorgio Linguaglossa nei versi scelti da Ronda dei conversi, e secondo me, magistralmente interpretati.
    Per quello che riguarda la posizione dominante della voce protagonista su chi ascolta, personalmente non credo si tratti di una volontà di prevalere o di imporre la propria visione agli altri. C’ è un’antipatia di fondo verso la componente umana che sia qualcosa di altro da se stessi. La visione è semplicemente egocentrica e non certo commossa o commovente: “(ma voi, cerco di ricordare, barlume/che s’incugna nella testa,/le vostre facce, dico, non mi sono/ nuove né molto liete le vostre parvenze!”
    Certamente una visione pesante della vita e anche di quella di relazione.
    Ma alla fine di tutto, vi lascerei con una domanda: l’uomo De Signoribus è così schivo, sacerdotale, incurante del mondo e con la porta chiusa ad ogni complemento che non sia spirituale nella vita? A noi parlando dell’autore non deve e non dovrebbe interessare, ma visto che si tratta di personaggio pubblico e conosciuto, mi chiedo perché una persona dalle caratteristiche così ascetiche, si interessa poi ed aspira ad eventi mondani come il Premio Montale, o il Viareggio-Lerici, o ad altri riconoscimenti più elevati anche in campo internazionale? Non è una contraddizione? Forse Roberto Roversi che non si è mai dichiarato asceta, ma di fatto ha trascorso la sua vita in un mirabile e silenzioso lavoro nell’antica Libreria di Via Dei Poeti, ha mai aspirato al Premio Luzi o al Dessi, o al Montano? Non credo, anche se avrebbe meritato ben di più. E qui mi fermo(per ora).

    • ro

      Evangelisti cara, questa cosa con cui ha concluso, è magistrale…non voglio tirare l’acqua sopra il ring che ho cercato di descrivere, ma la cosa che si sente fra le righe a una persona come me, che non conosce vita morte e miracoli del poeta in questione, è , leggendolo e rileggendolo, qualcosa che stride terribilmente e che lei ha appunto descritto. In pratica per onesta intellettuale, se non possiamo permettere che la luna sia in vendita nemmeno dal piu grande dei poeti, figuriamoci se possiamo mettere in vendita ( esibizione, premi, soddisfazioni misere e temporali di vita) la nostra apocalisse quotidiana? ma quando mai!! e poi da chi???? fosse dio, anche anche ma da chi fin dai comportamenti pre-poetici non ci ama nemmeno? altro che contraddizione, esibizionismo superpostmoderno. Dunque se questo fosse il caso del poeta in questione, mi spiace, mi spiace tanto, ma altro che le parole di offesa del critico Linguaglossa: vista la licenza o il diritto poetico che si sarebbe preso, di bastonare il figlio di colui che sempre il poeta chiama angelo, cielo, o dio, addirittura in lui incarnadosi nelel parole, allora per “par condicio” assolutamente poetica ed eminentemente logica e comportamentale, potrà raccogliere identiche bastonate…tanto se fosse così, il poeta “biblico” avrebbe tutte le scritture per saper gia il copione.

  7. Francesco Tarantino

    Alcune considerazioni preliminari:
    1) Abate manifesta già nel titolo del suo pezzo l’insinuazione che la riflessione di Linguaglossa sia mossa da un intento «persecutorio». Mi dispiace Abate, lei fin dal titolo si è fatto un autogol.
    2) La scorrettezza del suo metodo insinuatorio consiste nell’aver isolato una serie di affermazioni di Linguaglossa e di prenderle a riprova della mala fede del critico. E no, caro Abate, non si può contestare una tesi isolando delle frasi che appartengono a un contesto dimostrativo per dimostrare l’intento «persecutorio» del critico. Quelle frasi acquistano un senso nell’ambito del discorso critico che Linguaglossa elabora, ma isolarle dal contesto è un metodo disonesto e privo di valore critico culturale.
    3) Manca nella sua disamina, caro Abate, una testi interpretativa, cioè lei non spiega le ragioni per le quali la poesia di De Signoribus sia valida esteticamente. Manca una argomentazione, lei fa solo contro argomentazioni dirette a dimostrare un SUO pregiudizio: che il critico sia mosso da un animus di vendetta, di rivalsa, di invidia etc. Ma vendetta verso chi?, qui si sta discutendo di un testo esemplare dell’autore, non si sta facendo nessun processo ad alcuno.
    4) Lei vuole spostare il problema dal testo al critico Linguaglossa. Prego, ritorni a parlarci del testo, e se le piace ci spieghi le ragioni.
    5) Lei fa un vero e proprio processo al critico Linguaglossa perché si è permesso di esprimere argomentazioni che lei non approva. Lei procede come un pubblico ministero che fa un processo alle intenzioni del critico Linguaglossa. Mi permetta Abate, ma questo è un metodo non solo deontologicamente scorretto come dice la Canciani ma un vero e proprio processo diffamatorio proprio come quei processi stalinisti che volevano dimostrare che l’imputato era un eretico, un revisionista, un collaboratore della classe borghese, insomma, un traditore della causa del proletariato (pardon del De Signoribus). Perdoni ma ha fatto un altro autogol.
    6) Aspettiamo quindi una sua riflessione critica che ci spieghi perché quel testo sia esteticamente valido, senza lanciare accuse contro chi la rimbecca ma ragionando sul testo e sui testi.
    7) E la prego, non reagisca con accuse anche a chi le muove delle critiche ma cerchi di argomentare la sua tesi. Se ne ha una.

  8. Ennio Abate

    @ Tarantino

    Credo di aver argomentato a sufficienza. Non vedo nel mio scritto nessuna diffamazione. Quanto agli autogol, non sono un calciatore.

  9. Giuseppina Di Leo

    La scelta di queste vecchie poesie di De Signoribus fatta da Sandra Evangelisti non mi sembra casuale. Si delinea un percorso che presenta punti in comune anche con l’ultima produzione. Sebbene la vicinanza sia più una contrapposizione. E cioè: la chiusura solitaria dal mondo assume poi carattere di negazione del mondo verso l’individuo. E, detto sinceramente, non mi interessa per niente un simile pensiero in poesia. Perché anzi mi preoccupa anche il solo pensare che si possa denigrare in tal modo il genere umano o metterlo alla stregua di fantasmi da esorcizzare.
    Mi scusi Abate, e mi scusi anche lei Sandra, ma, da semi-atea quale mi reputo, dico che Laura Canciani ha ragione da vendere quando dice che «bisogna avere rispetto per la teologia».

  10. Grazie a Sara Evangelisti, per le poesie che ha trascritto e per aver individuato l’egocentrismo di fondo che le caratterizzano. Mi ha fatto pensare a certi aspetti del poeta D’Annunzio. Anche D’Annunzio cercò e ottenne molto successo ( ma non si atteggiava in modo schivo e modesto), malgrado tutto e pur prendendo le distanze, oggi gli riconosciamo quel che è dovuto ai suoi versi… se sospinto da molti favori De Signoribus diventerà un poeta popolare. Di questi tempi essere popolari può significare che in fondo non si stia dando fastidio a nessuno. Ma anche qui qualche riserva cel’ho perché penso a Alda Merini e a quanti, tra gli intellettuali, le diedero contro…

  11. De Filippibus

    va bene prendo il bus e me ne vado
    da De Signoribus
    entro nel taxi che va da Craxi, ma no, cambio idea
    prendo la Metro che va a Cologno
    che porta a casa di Abate, anzi no, evito la Metro B
    che porta da Linguaglossa e me ne vado
    a Villa Borghese a passeggiar «oh, che luna, oh che mar!»;
    vedete, cari amici di moltinpoesia, io con la poesia
    non voglio averci niente a che fare, ci faccio
    sopra una croce, così: T
    e torno a fare poesia sulla “O”, come Ohibò,
    tò, bò, ahò, no, so, gogò etc.;
    no, non ci sto, è meglio fare poesie sulla “E”
    che fa rima con Abate (e prete),
    come se, me, te, ve, stre, pre… ma vi prego:
    no, sulla luna no,
    è preferibile far poesia sulla guerr, la lotta di class, i
    chierichett alla De Signoribus e i lestrigoni
    alla Lentini che fa rima con bikini,
    e la rima, si sa, non sbaglia mai, è «fededegna»
    come dice la Canciani… e allora chiamo Raf Vallone
    e gli chiedo: «hai letto su moltinpoesia?»,
    e quel maleducato: «ma che me ne frega!»;
    ohibò, torno a far poesia con la “O”, allora chiamo
    il direttore editoriale Marco Onorio, e quello
    mi apostrofa così: «torna a far poesie sulle “I”»;
    e così mi dirigo verso il Vaticano, lì per lì
    perlomeno c’è Papa Francesco,
    ah, che pace!, «e chi sono io per giudicare i gay?»,
    dice il Papa; e lì ci incontro Sabino,
    il critico dell’Osservatore Romano e gli chiedo:
    «hai letto moltinpoesia?», e quello «prrr»; orbene,
    allora torno a moltinpoesia e chiedo
    a Ennio Abate:
    «e chi sono io per giudicare De Signoribus?»;
    poi chiamo la Evangelisti, e le dico che, ma sì, Signora
    voglio evangelizzarmi con il prete De Signoribus,
    mi ha convinto sui «raddrizzatori e i riedificatori»,
    sono belle parole, non c’è che dire, è un gran
    poeta, non c’è di che, che parole!, che fagotti!
    quanti botti!, che violini!, e mi precipito
    a Forlì dalla Signora Evangelisti…
    ma no, non posso c’è la rima con la “I”
    e allora torno indietro da Ennio Abate
    e gli dico: «dai facciamo la rima con la “guerr”»,
    facciamo vedere a Linguagloss com’è ver…

  12. Ennio Abate

    @ Mayoor
    «Arringa in difesa di De Signoribus»?
    Ma perché farsi contagiare dal clima che – diciamo – in questo post si va facendo un po’ teso? Né processi né tifo, ma ragionamenti critici. Io vorrei arrivare a questo. Certo se gli interventi (anche di De Filippibus) lo permetteranno. E allora per continuare… Non mi pare che l’interpretazione che Giorgio ha dato della poesia di De Signoribus si ponga, come tu dici, «di fianco all’autore».

    @ ro
    Farsi distrarre così tanto dall’«azzeccosissimo ring, scelto da Abate»? f Sarebbe meglio non perdere di vista quello che anche «chi non è addetto ai lavori» potrebbe/dovrebbe fare con un po’ di fatica: leggere e rileggere più volte il testo critico di Linguaglossa e la mia replica e, pazientemente, ragionare su un punto o due, se non ha tempo per riesaminarli tutti. Evitare di fare il tifo o di mettere i voti. Comunque la scelta dell’immagine era ironica, lo si sarà capito.

    @ Evangelisti
    Lei può giudicare in base al suo gusto personale, ma non può pretendere che io la segua. Siamo agli antipodi. Lei pensi pure che quella di Giorgio sia «un’analisi scientifica». Io, come ho cercato di argomentare, la trovo esageratamente soggettiva. Che «a Linguaglossa non piace la poesia di De Signoribus», è chiaro. Ma appunto siamo nel campo della soggettività, del gusto personale. Che motivi «esaurientemente» questa sua idiosincrasia ho grossi dubbi. E comunque quelle sue motivazioni qualcuno – il sottoscritto per il momento – può non condividerle.

    Quanto alla sua lettura di quest’altro testo (del 1976) di De Signoribus a me pare davvero (consapevolmente o no) molto «linguaglossiana», se si butta a pesce sulla parola «augure» per dedurne che «chi scrive assume una posizione altra e alta, superiore a quella del lettore e si fa così portavoce da questa sua “torre” della voce dell’eterno e dell’assoluto» o afferma che lo sguardo pessimista sulla realtà non sarebbe « frutto di dolore e di sconforto» ma «di una visione altezzosa e di superiorità sul reale». E se ci fosse dell’ironia in questa poesia? O come fa ad accertare in poesia se delle parole siano veramente « frutto di dolore e di sconforto»? E, anche se lo fossero, la poesia varrebbe di più? Le stesse obiezioni muoverei a queste altre sue affermazioni: «Che sia lo stesso se non c’è il cesso, ed è sufficiente la carta…..ma mi sembra più un gioco di parole che un asserzione sincera»; « Andando avanti troviamo un’esortazione a murare la porta: “entrerò dal soffitto!”. E anche qui l’affermazione suona poco sincera». Mi scusi, ma lei misura il valore della poesia dal grado di sincerità che contengono? Le ricordo che un grande artista può *fingere* la sincerità, per cui andare a caccia della sincerità in arte porta fuori strada. Quanto alla richiesta di coerenza tra vita di un autore e opera mi pare che si sbagli. L’autore che dice ‘io’ non coincide mai in pieno con quell’ ‘io’ fittizio che costruisce. Nelle vite di tanti artisti e scrittori, e anche nelle nostre, ci sono incoerenze, vuoti, debolezze, vanità, che nelle loro opere vengono sublimate o rese belle, interessanti.

    @ Di Leo
    « da semi-atea quale mi reputo». Una definizione davvero in linea coi nostri tempi confusi e ambivalenti. Da adottare anche in altri campi. Sei poeta? No, semi-poeta. Sei del PD? No, semi-PD. Mi ami? No, ti semi-amo.

    • Giuseppina Di Leo

      Agnostica – anrchica – all’indifferenza preferisco dire ti amo.

    • @ Abate
      Non pretendo certo che lei mi segua. Questa è una discussione. Ma definire il giudizio del critico Linguaglossa “persecutorio” mi sembra eccessivo e soprattutto fuori luogo nell’ambito di una discussione sulla poesia di Eugenio De Signoribus. Cioè l’oggetto della discussione diventa il critico Giorgio Linguaglossa, e non la poesia dell’autore De Signoribus.
      Lo trovo scorretto, almeno come metodo di discussione. Quanto ai testi che ho commentato la scelta è avvenuta casualmente, erano i primi della raccolta di Garzanti, quelli giovanili. Il modo di commentarli è certamente quello di Sandra Evangelisti, personalissimo e non “linguaglossiano”, come lei dice. Qualunque lettore potrebbe vedere la differenza fra il mio modo di scrivere e di argomentare e quello di Giorgio, che è un professionista nella materia. Non mi sono scagliata sulla parola “augure” per esaltarne il significato. Quella parola c’è ed ha un significato chiaro, almeno in una lettura linguistica classica: colui che legge ed interpreta i segni dati dagli dei. Oltretutto dando questa interpretazione rimango nell’ambito di una visione pagana e classica, e non cattolica.
      A proposito della “sincerità”, forse il termine giusto da usare è “autenticità”. Cioè noto una possibile mancanza di corrispondenza fra quello che l’autore esprime con lo scritto e la sua interiorità. Per questo qualcosa che stride e per il metodo di scrittura mi sembra che si tratti prevalentemente di un esercizio letterario, ma questo sempre “secondo me”.
      Grazie comunque per l’attenzione.

      • Ennio Abate

        @ Evangelisti
        Neppure io ho alcuna pretesa di essere seguito. Una discussione, se tutto va bene, per me costruisceun luogo dove ciascuno/a deposita gratis le sue opinioni ( e – come ben si vede – anche i suoi umori, antipatie, simpatie, ecc). E sempre gratis quelli che si prendono la briga di leggere, scelgono quelle che a loro dicono qualcosa che poi, col tempo, rimarrà, si trasformerà, si dimenticherà, entrerà o non entrerà nei discorsi che successivamente faranno.

        L’oggetto – non della discussione, ma del mio primo commento – era senz’altro il testo critico di Linguaglossa su una poesia di De Signoribus.
        A quello ho replicato e non vedo che cosa ci sia di “scorretto”. Sempre meglio del silenzio indecifrabile di chi non si pronuncia e non si sa neppure se legge.

  13. Laura Canciani

    a Lucio Mayoor Tosi
    mi dispiace ma qui c’è un equivoco: la critica del testo non è un ring dove un critico e un autore, o due critici si riempiono di botte, come due pugili. La critica non è arte pugilistica. La critica del testo è un campo delimitato (dal testo) dove ci sono delle regole che bisogna rispettare. Quali sono queste regole? – bene, citerò un brano di Cesare Segre a p. 91 del libro “Avviamento all’analisi del testo letterario” edito da Einaudi nel 1999 :

    «Il significato semantico è quello dei singoli termini o sintagmi. I migliori commenti hanno sempre cercato di precisare il valore che assume ogni parola di valore dubbio in rapporto con la frase in rapporto con l’idioletto dell’autore. La delucidazione contestuale è stata approfondita dalla linguistica moderna, che ha mostrato le selezioni e le messe a punto subite dalla potenzialità significativa di ogni parola. La parola, che è un fascio di significati (potenzialità) nel dizionario ne assume uno, e uno solo (a parte i casi di ambiguità) una volta unita alle altre parole del testo. Il ricorso all’idioletto è stato regolarmente operato sin dagli inizi della filologia. Ma il riferimento all’idioletto non è sufficiente, perché dietro ai significati denotati vi sono, anche più importanti per la poesia, quelli connotati».

    E mi sembra che la critica testuale operata da Linguaglossa (quantunque tutto sia discutibile e suscettibile di discussione) sia una analisi testuale, parola per parola e frase per frase del testo dell’autore in argomento. A questa critica testuale si può replicare soltanto con un’altra critica testuale del medesimo testo o di altri testi (come ha fatto egregiamente Sandra Evangelisti) ma non si può replicare con accuse infamanti sulla disonestà e intenzione «persecutoria» del critico, semplicemente perché è un fuori questione. È fuori delle regole della critica del testo. È come nel calcio segnare un gol in fuorigioco.

    • Sì sì, e la ringrazio. Sa, io sto in panchina e guardo i titolari giocare sperando di imparare qualcosa da aggiungere al mio talento, se c’è. E della critica letteraria non conosco le regole, pensi che per questa mia arringa mi sono rifatto ad Argan, che è critico d’arte non di poesia, che diceva: ” Io mi pongo questo problema: se si possa arrivare a una metodologia di base, valida praticamente per ogni tipo di ricerca, purché sia di base e non di vertice, e non si ponga al principio dell’esperienza, ma ne discenda”. Ma è roba d’altri tempi ( anni ’80), infatti Argan s’era formato con Croce.
      Comunque ho troppa stima di Linguaglossa per dargli contro, solo lo invitavo a fare come ha spesso fatto, mettendo le pedine al loro posto sulla scacchiera. Anche con De Signoribus. E sono certo che lo farà perché intanto qui siamo su un campo di battaglia, seppure amichevole, e vale la pena di sperimentare. Per parte mia mi sono limitato a dire che portando Dante come esempio, invece di un contemporaneo, seppure solo per rafforzare i suoi intendimenti, finisce col riconoscere l’eccellenza della sua scrittura. E un po’ lo riconosce, solo che ovviamente non si accontenta come posso fare io, che di De Signoribus so davvero poco, giustamente va oltre. Ma senza con-testo si finisce col sfiorare l’invettiva. In altre parole: a me può anche star bene quel che dice Linguaglossa, non ho difficoltà a comprendere le ragioni linguistiche, ma proprio perché ne so poco di De Signoribus non vorrei iniziare a leggerlo con pre-giudizio. Già da quel poco che ne so hop già avanzato il sospetto che De Signoribus sia un poeta pop. Pop sta anche per superficiale, superficiale ma efficace. Inoltre, un conto è la tradizione letteraria per come la conoscono gli addetti ai lavori, e un altro è come la percepisce la gente. Ed è possibile che la poesia di De Signoribus vada in quest’altra direzione.

  14. Francesco Tarantino

    mi sembra indubbio che tra il marxista Abate e il Dio fuori campo del chierico De Signoribus ci sia una coincidentia oppositorum

    • Ennio Abate

      @ Tarantino
      Alleluja! Se Dio è passato con noi marxisti ( Gott mitt uns!) allora possiamo fare la rivoluzione…
      Ma dove sono i marxisti?

      • ro

        Ennio, penso che Tarantino t’invitasse, a ruvidi modi quali anche i tuoi, a considerare, non tanto Marx, la sua permamenza o meno, o, ancora, l’origine e il fine ultimo della creazione e delal distruzioone del mondo, bensì di comprendere (CONRICERCA, giusto?), quanto una chiesa valga l’altra e come liberarsene piu possibile, altrimenti che “poesia ” si potrebbe fare? nessuna.

  15. ro

    Ennio caro, mi spiace, quello che ti dirò non è perché voglia adottare il tuo stesso metodo, ma visto che nel tuo intervento a dir poco piccato, volente o nolente fai o vorresti fare il maestro o la guida, devo dire come a volte o spesso tu ricordi ( vedi ieri a Canciani) di rimanere sulle considerazioni sollevate…Nel mio assoluto o relativo naïve metaforico, non ho scelto io l’immagine che hai messo su questo post, né tantomeno ho usato io, mai, il sostegno per l’impalcatura delle argomentazioni affidandolo a fioretti e controfioretti, di spade o in questo caso, visto il Don Signoribus, addirittura strictu sensu ecumenici….

    Dunque nei mei due interventi ho parlato di questa (vostra?) “pedana” e di suoi svariati aspetti, dalle regole delle scazzottate fino alle traslazioni e condizionamenti mediatici politici sia sul piano dei testi del poeta “grillesco”, sia sul piano successivo della “ballaronata” ( o del matrix o della piazzata pulita etc ) da palco televisivo che i due pugili, tu e Linguaglossa, potreste comunque rischiare se l’aspetto di suonarle ( di “santa” ragione?) prendesse il sopravvento, cosa regolarmente avvenuta com’era prevedibile, ovviamente alla fine più da parte tua nel momento in cui pur di difendere “il don”, ti sei dovuto scatenare su chi non poteva trovare argomenti per difenderlo….

    Credo che a questo punto il dissacrante e autodissacrator-io De Filippibus, sia però, almeno per me, il lato per cui è veramente piacevole credere a un’altra poesia ancora e a un altro d_io.

    un saluto

  16. Ennio Abate

    @ Simeone (18 settembre 2013 alle 12:45)

    Ma è proprio sicura che un buon poeta si mette a tavolino e costruisce «chirurgicamente una “torre di Babele”»?
    Molta poesia è «incomprensibile ai più»? Forse la scienza, la filosofia, la politica è comprensibile ai più? In tutti i campi del sapere ci sono dislivelli e spesso gerarchie consolidate tra “addetti ai lavori” e non addetti (i “profani”…). E poi c’è una contesa continua tra chi *vuole* che certi saperi siano solo per le élites e chi vuole divulgarli, democratizzarli, estenderli a tutti (in teoria!). Come conciliare le esigenze della ricerca (anche poetica) con l’esigenza della divulgazione? È un rompicapo difficile da risolvere. Lei crede che la teoria della relatività di Einstein sia facile da capire? E allora perché da un poeta si pretende che si faccia subito e velocemente capire anche da chi non ha le basi per accostarsi al lavoro poetico? A volte il poeta ci riesce miracolosamente a farsi intendere anche dalla gente comune. Magari in tempi in cui la gente comune è in fermento e non narcotizzata dai mass media come oggi. Altre volte non ce la fa. E non è questione solo di cattiva volontà. Ma anche di investimento sulla ricerca o sulla divulgazione. Se lei fosse concentrata su un problema complicato da capire e una persona la disturbasse con domande generiche e estranee al tema che sta pensando, non la manderebbe al diavolo? E poi anche se lei, risolto il problema, volesse far conoscere a amici e conoscenti la soluzione o il percorso con cui l’ha trovata, pensa che sia facile? Che basta volerlo? Non deve tener conto dei pregiudizi o di tanti altri fattori che portano la mente dei suoi amici e conoscenti in tutt’altra direzione?
    Insomma, stiamo attenti/e alle semplificazioni…

    • Ambra Simeone

      gentile Ennio Abate,

      no, infatti, un buon poeta secondo me si mette sempre a tavolino, ma per costruire bisogna stare attenti a come lo si fa, un buon palazzo lo si costruisce perché si tenga conto del fatto che prima o poi le genti ci debbano abitare, e bene, non perché sia così bello da poterlo mostrare all’architetto di turno che ci deve raccomandare ad altri architetti, un palazzo deve essere comodo da usare e disponibile a ogni tipo di famiglia. mi chiedo che senso abbia scrivere, senza pensare di raggiungere quante più persone possibili, e non vedo perché questo debba essere contrario o in contrasto con la ricerca poetica in senso stretto, si può fare ricerca anche senza dover lasciar fuori qualcuno. inoltre penso che un poeta, come anche un muratore, non possano dirsi di essere tali e completamente soddisfatti del proprio lavoro, se i loro libri e le loro case, non sono serviti per parlare davvero alle persone o per essere abitati dalle persone. capisco le problematiche che investono la sfera della comunicazione in questo periodo, ma io penso, e questa non è una semplificazione, ma un a considerazione personale, che un buon poeta anche in un momento di distruzione della rete sociale, non debba chiudersi in se stesso ma anzi aprirsi agli altri, gettare ponti, e questo lo si può fare solo cercando di arrivare alla gente, anche quella comune, altrimenti rimarrà lui, tre o quattro critici, e dieci addetti ai lavori, e non vedo quale possa essere il fine di questo tipo di ricerca.

      • Ennio Abate

        @ Simeone

        Nella sostanza sono d’accordo con questa sua tensione ad “aprirsi agli altri”. Tant’è vero che questo blog s’intitola programmaticamente “moltinpoesia”. Ma, appunto, siamo “in un momento di distruzione della rete sociale” e ce n’è di lavoro da fare per non chiudersi in se stessi o tra “addetti ai lavori”. Grazie del dialogo

    • Ambra Simeone

      Gentile Ennio Abate,

      e io sono davvero contenta di poter esprimermi in questo blog che trovo davvero molto stimolante. grazie del dialogo che ispira.

  17. De Filippibus

    Tramonta il gallo, tramonta la luna e il poeta
    De Signoribus va a cavallo, ha perso il cervello
    sulla luna come Orlando e or lo va a recuperar,
    vedi, caro Abate, non è che nel tuo nomen c’è già
    la rima con il prete avatar?, è una domanda
    non una asserzione in tono imbonitorio da obitorio,
    lei lo sa che il menestrello dei moderni tempi
    (l’inclito De Signoribus)
    ama suonare la tromba dei sempiterni
    crucci sull’umanità?, essa, l’umanità
    è di genere inferiore e non sa
    apprezzare l’inclita fedeltà del poeta
    incoronato da Bonnefoy!, e poi c’è Giudici
    che giudica e poi c’è il Lentini
    che si aggiudica i punticini Mira Lanza…
    Scrive ro’: «de lunibus, pardon de gustibus
    (accipicchia sbaglio in continuo), volevo dire
    De Filippibus, De Filippibus est disputandum?
    O ancora: Essere e non essere De Filippibus,
    questo il problema?»,
    sì rispondo io che sono De Filippibus
    il problema è il chierico De Signoribus
    che starnazza pseudomonemi ecclesiali
    e lo scrivente De Filippibus ama le sue vocali
    «alto-numinose» come dichiarato da Linguaglossibus,
    eh sì, anche il critico prende il Bus
    che lo porta da De Signoribus, quello
    dell’apocatastasi e dell’iconostasi della parola numinosa
    e dell’iconologia di Sanpierdarena,
    ma noi, umili mortali, non siamo in grado di recepire
    gli alti lai di scorno dell’unicorno
    De Signoribus, siamo semplici umani
    che non possono accedere alla Deità
    che sta dietro le quinte dell’inclita immensità
    delle sue scabre e irte vocali…
    e il naufragar m’è dolce in questo mar

  18. Peppenielle

    @ De Filippibus

    Tu sì ca sì “linguaglussiane” ao 100%! Rice è stesse cose e Linguaglosse, use ‘e stesse parole rifficcile (‘azz, l’ “l’apocatastase” che effette ca fà! Miche mette ‘n soggezione o lettore! Miche è “alte-numinose” cumm’e parole ‘e ‘stu puveriell’e ‘e De Signoribùs!).
    A signora Evangelist’e n’ha da saglie ‘e grarine, une roppe n’ate, p’arrivà ‘ncima o Parnase ra Prufessione Critiche, addò stai tu!

  19. emilia banfi

    A Peppenielle:
    Sent un po che rumur sent
    quand do critic se scuntren
    ghè gnen de fa, i cerveluni
    a volt in trop ciapà a cuntà sù
    quel che i poeti a voeuren dì
    e san no che el Signoribus
    sel pudarìa al disarìa inscì:
    _Per piasè, basta a mi stufì
    e ognùn cal porta la sua crus!-

    Ciao Peppenielle, alla prossima…

  20. Anonimo

    Uè Peppiniè ma nun è ch’ tu vulisse accumparà e’ sympatie de de signoribbuss? pe’ sbrudulià e’ Garzanti? ca’ te putisse pubblicà nu livre!

  21. emilia banfi

    Correggo il primo verso
    “sent un po che rumur se sent”

  22. Giorgio Linguaglossa

    COMUNICATO

    Interrompo in via definitiva ogni collaborazione con il blog e la persona Ennio Abate il quale ha dichiarato che io sono spinto da un intento diffamatorio, «persecutorio», «ipersoggettivo» etc. nei confronti della persona di un autore, spostando il discorso dal commento a una poesia alla messa in stato di accusa della mia persona nelle sue funzioni di critico, aggiudicandomi una disonestà intellettuale nel voler colpire pregiudizialmente la persona di un autore a prescindere dalla sua opera. Rilevo che questo comportamento (otre ad essere reato di diffamazione punito dal codice penale), è una gravissima scorrettezza sia sul piano deontologico che metodologico. Evidentemente il conduttore di questo blog ha perduto i parametri di riferimento di ciò che significa una corretta dialettica delle idee e delle tesi che non deve mai travalicare in un processo alle intenzioni, tipico dei processi stalinisti.
    Comunico altresì che a breve, insieme ad altri intellettuali, metterò in piedi un blog che avrà il suo unico parametro di riferimento nella libera espressione delle idee nel rispetto della dialettica delle tesi, dei testi e delle persone.
    Un cordiale saluto a tutti.

    Giorgio Linguaglossa

  23. Giuseppina Di Leo

    La determinazione di Giorgio Linguaglossa di lasciare il blog dei moltinpoesia è un fatto in sé gravissimo. Spero di esprimere il volere dei molti e chiedo a Ennio Abate di rendersi disponibile a un dialogo, in modo da poter sanare questa penosa situazione.

  24. emilia banfi

    Cara Giuseppina,
    penso che in questi casi ci voglia umiltà e qui ce ne vuole molta.

  25. emilia banfi

    A Giuseppina:
    Ci voglio credere.

  26. ro

    Se”il signor” Linguaglossa è arrivato a una decisione così “grave” o anche”definitiva”, senza che “il signor” Abate si rendesse conto della gravità a cui andava incontro, vuol dire che nonostante milioni (esagero per rendere) di libri letti da entrambi ma sicuramente da Abate, nonostante miliardi di libri sull’argomento di questo e di altri analoghi “perimetri”, questi innumerabili tomi e autori possono valere zero di zero sbarrato fin dall’istante prima del fatidico istante rovinoso, ergo il tutto sarebbe una questione culturale ” altra”..Non so quanto pesi la radice “stalinista” o piuttosto un desiderio inconscio vuoi ai raptus per eccesso di intellettualità ma anche competizione,ovvero condizione penosa della contemporaneità tutta, vuoi a un desiderio individuale ma anche collettivo all’autodistruzione più che alla creazione, di cui la seconda, dovrebbe rimanere la prima in assoluto per il perimetro della costruzione del rapporto umano. E’ inoltre perfettamente inutile correre al riparo di altre letture sul genocidio piu famoso al mondo e nella storia, quando in realtà ne sono esistiti e proseguiti altri maggiormente sofistificati e perfezionati, di cui quello piu invisibile che prosegue al galoppo, è l’autodeportazione volontaria o involontaria, sia dalle terre fisiche che da quelle interiori. Poi possiamo chiamarlo anche esodo, ma è meglio sapere con che cosa più in generale abbiamo a che fare. Pertanto non credo , vista ormai l’area pubblica in cui si è appalesata ,che la situazione che qui si è venuta a creare sia una situazione riducibile al conflitto specifico e la responsabilità di Abate nella sua paradossale “ignoranza”. Minore l’ignoranza di Linguaglossa, perché ovviamente è la parte offesa, anche se a volerla vedere di sola logica strategica, esulando quindi dai discorsi di cui sopra, è stato così “ingenuo” da favorire con questo suo comunicato pubblico, non tanto la sua causa, ma quella del terzo, quella di un dio terribile che gode quando gli umani si scornano a sangue, quella del dio dei testi di De Signoribus.

  27. emilia banfi

    E’ vero Ro,
    pare che sopra tutto questo trambusto ci sia solo Dio? Sembra un po’ esagerato…facciamo qualche saltello indietro, pochi saltelli tipo…tipo quelli dei conigli , dei passeri …così poi possiamo ragionare

  28. ro

    Cara Emy e cara Giuseppina, io ringrazio e apprezzo voi perché senza la vostra voce, la mia avrebbe continuato il silenzio, perlomeno in spazio pubblico…

    Riavvolgere il film per rimontarne un altro e altri ancora, è possibile, ed è possibile non solo nel cinema che è l’arte delle finzioni più densa di reale e/o di realismo metaforico. Cosa che sta sicuramente a cuore, perlomeno dalle parole, sia alla parte responsabile delle offese che all’offeso. Abate e Linguaglossa (e non solo loro,spero “molti” in questa comunità e non solo in questa, meno o piu intellettuali) dovrebbero sentirsi un po’ più come certi abili registi(visti certi registri in comune e non solo) capaci di dare visioni molteplici dallo stesso punto di partenza della storia (esempio, solo uno, lola corre perché ce ne sarebbero tantissimi da citare)…un po’ come ben li ha presente ad esempio il nostro più recente e freschissimo amico De Filippibus.
    …..
    Abate si è preso l’onere e la fatica di questo spazio e non può permettersi per le cose che dice e che desidera (vedi post di post dedicati al fare gruppo fra poeti e critici d’avanguardia o meno) di non sapere fare approdo, rapporto …come certi registi con le loro creature, intrecci, storie, relazioni ….

    Inoltre in questo film di Abate e Linguaglossa, fatto sicuramente non solo da quest’ultimo episodio di guerra stellare, cosmica di un dio terribile a immagine e somiglianza del dio di De Signoribus, potrebbe essere esserci spazio per altre trame e altri non finali, sempreche non si voglia confermare l'”orrore della storia” , che non è solo quello generato dai guardiani del mondo….

    registi consapevoli, consapevoli di donarsi e abbandonarsi l’uno all’altro, tuttavia al contempo consapevoli dell’anello mancante, sempre, fuori e dentro le scene, di un altro pezzo, sviluppo, cambio etc …di un’altra storia, per poterla poi riaprire o includere allla successiva azione, storia, ciak etc etc in cui un altro o identico sarà il pezzo mancante, possibilmente però non mancante del proprio sé più profondo da regalare sempre all’altro, senza alcunché in cambio, foss’anche solo un grammo in più di materia cerebrale o raziocinante. Pena la perdita di credibilità totale sulle parole scagliate contro il dio degli scambi, che non è solo quello del dio-mercato strictu sensu.

  29. Io non la vedo facilmente risolvibile in quanto Ennio si è espresso con gli stessi toni con cui Linguaglossa ha segato De Signoribus, solo che Linguaglossa ha motivato mentre Ennio, come a volte fa, ha messo uno stop o dei limiti alle condanne definitive ventilando al possibilità che ci possano essere altre interpretazioni. Solo che non è andato tanto oltre, cioè non è stato ne’ contrario ne’ assolutorio. Io ci sento del buono in questa sua posizione mediana perché incoraggia altre possibilità interpretative, solo che magari in questo caso, volendo controbattere una tesi di Linguaglossa, una posizione era meglio prenderla. Uff, anche i critici s’azzuffano…

    • …o forse Ennio non vuole che sul suo blog si facciano interventi di condanna tanto espliciti, perché un conto è che li faccia un lettore occasionale e un altro è che a farli sia Linguaglossa. Boh, spero in un chiarimento.

      • ro

        Non credo come in tutte le situazioni analoghe a questa, private o pubbliche, per motivi nobili o plebei, etc etc sia , una volta scattato il fatidico istante, la ricostruzione analitica delle ragioni e dei torti degli uni o degli altri, ma la comprensione e la contestualizzazione più ampia e profonda di ciò che è un quid che esula dal singolo feritore e dal singolo ferito caduti sul campo. Tanto più quando il campo, come questo, parte da un certo terreno paludoso per ogni parte in gioco, anche quelle non sono scese in campo (che non hanno scritto e fino a quelle che non hanno addirittura letto … potenziali comprese)

  30. ro

    a proposito di film, mi viene in mente un film recentissimo, bellissimo che suggerisco a tutti coloro che non lo avvessero ancora visto. E’ di una regista veramente brava , ma avevo visto solo suoi piccoli capolavori a teatro…è Emma Dante, il suo primo film è su una strada stretta, stretta stretta , la stessa metaforicamente in cui si sono ficcati Abate e Linguaglossa e chissà quanti altri prima di loro ( nella storia dei piu conosciuti e sconosciuti intellettuali, avviene tanto come nelle storie piu plebee di noi comuni mortali). anche noi qui in questo spazio siamo come in via castellana bandiera.

  31. emilia banfi

    Peppenielleeeee che ne dici?

  32. Giuseppina Di Leo

    De Filippibus, dove sei?

  33. emilia banfi

    Ci starebbe bene un duello alla Maupassant
    domattina all’alba quando il sole è ancora un po’ annebbiato , il cielo rosato e l’aria così fresca e stuzzicante. Con un cappotto nero ed un cappello a cilindro spareranno ci sarà un gran botto…ma son certa che ambedue sbaglieranno la mira.

  34. … certo l’accusa di stalinismo è infamante. Il guanto è stato gettato

  35. Ennio Abate

    Per favore evitate pettegolezzi e deduzioni frettolose. Stop.

  36. Giuseppina Di Leo

    Il singolar tenzone lo vedrei a suon di rima…

  37. Alfano che dà dei delinquenti ai no tav… è come mettere benzina sul fuoco. E lui lo sa benissimo.

  38. Ennio Abate

    Ripeto l’invito a smetterla con commenti-pettegolezzi.

    • ro

      Penso con dispiacere, caro Ennio, che viste questa tue e precedenti identiche “parole”, tu non abbia ancora avuto il tempo oltre che di leggere i singoli interventi, di trasformare, di conseguenza, da un prima a un dopo un certo modo di bollare gli altri , che non avviene purtroppo solo con certe parole da te contestate a Linguaglossa, e da lui a te..questo il lato piu duramente triste dell’intera storia.

  39. Nelle diatribe tra creativi ( e qui di diatriba si tratta ), anche questa è riconducibile all’ineffabilità ( sic ! ) dell’ego dei protagonisti . Metterli in coabitazione è una impresa iperbolica ma non disperata . A questo punto soltanto il De Signoribus ( che però non è una dama di San Vincenzo ) potrebbe intervenire facendo outing ( W la modestia ! ) , resettando i vari interventi dei critici belligeranti e proponendo una lettura della sua poetica sic et sempliciter , motivandola e documentandola , ma evitando il gioco di rimandi sulle singole valutazioni di Ennio e di Giorgio .
    Affidarsi all’onestà intellettuale – se esiste – è l’ultima spiaggia .

  40. Giuseppina Di Leo

    La proposta di Attolico è l’unica possibile per uscire dallo stallo, se De Signoribus accogliesse l’invito.

  41. Rita Simonitto

    – A fronte degli aspetti aggressivi, polemici e animosi (che sono tratti ben diversi tra di loro) ricordo quanto disse G. Linguaglossa rispondendo ad un mio commento * Così come c’è una guerra tra poeti per stabilire le gerarchie, c’è anche una aperta belligeranza tra i critici per stabilire chi è più grande e più bravo*. Se lo dice lui!
    Quindi niente di nuovo sotto il sole (o sotto la luna).

    – Sto pensando anche a quanta pubblicità è stata fatta a De Signoribus a partire da questa polemica: tra i due litiganti, il terzo gode.

    – Quanto al Comunicato, mi sono presa la briga di analizzare le cose scritte da entrambi e ho fatto questi rilievi messi fra parentesi tonda assieme a miei commenti che ho inserito nel testo facendoli precedere da puntini di sospensione.

    **Interrompo in via definitiva ogni collaborazione con il blog e la persona Ennio Abate il quale ha dichiarato che io sono spinto da un intento diffamatorio ( …. Beh, affermare, come ha fatto Linguaglossa, che De Signoribus *sia stato colpito da un colpo apoplettico con conseguente dislessia neurolettica e neurovegetativa con conseguente disformismo monemico* non si può certo considerare un complimento….) , «persecutorio» (cito da Linguaglossa: *La poesia inizia con l’aggettivo «dell’ignobile» attribuito a «secolo», subito dopo rafforzato dalla ripetizione «dei secoli» (il vecchissimo adagio “saecula saeculorm” delle preghiere del catechismo) riferito al lettore col verbo «t’accompagna». Fermiamoci qui. È un inizio severo, di reprimenda tipico del linguaggio di certe encicliche papali verso i peccati di tutto un «secolo»* (….dire ‘severo’ è una osservazione, mentre dire ‘reprimenda’ è già un livello superiore di giudizio, in questo caso arbitrario. Es.: sei severo con me non è la stessa cosa dell’attribuire all’altro uno sgridare o una volontà di reprimere. La persecuzione sta nell’applicare una sola lettura ed una soltanto…), «ipersoggettivo» (Linguaglossa afferma che * Il linguaggio viene usato con finalità interdittoria, ultimativa, numinosa per intimidire il lettore e metterlo in soggezione. S’intende che l’autore adotta questa tecnica con perizia*….per cui l’accusa che viene fatta a De Signoribus è quella di essere un imbonitore, anzi, peggio di soggiogare il lettore…) etc. nei confronti della persona di un autore, spostando il discorso dal commento a una poesia alla messa in stato di accusa della mia persona nelle sue funzioni di critico (e quanto al critico prendo un esempio un po’ lungo.
    Linguaglossa dice: * Per tornare alla poesia, c’è un eccesso di tratti sopra segmentali («bolla di sgomento»), una violenza verbale gratuita e animosa che squilibra l’armonia della composizione; proviamo a leggere il prosieguo di quello che io definisco un mero sfogo personale (con degli a capo) che non ha niente a che vedere con la forma-poesia, la quale è struttura, armonia (o disarmonia prestabilita) parallelismo, tropi, metafore, sinonimie, sineddoche etc.; qui non c’è nulla di tutto ciò, c’è soltanto un accavallarsi virulento e anche dis-tassico di proposizioni ultimative slegate secondo una facile paratassi che a me fa sorridere.* … A mio parere il critico avrebbe dovuto tralasciare i commenti soggettivi – violenza verbale gratuita e animosa; mero sfogo personale; accavallarsi virulento – e parlare, da critico solo della poesia che *ha un eccesso di tratti sopra segmentali* e dove il ricorso a *degli a capo … non ha niente a che vedere con la forma-poesia, la quale è struttura, armonia, (o disarmonia prestabilita) parallelismo, tropi, metafore, sinonimie, sineddoche etc.; qui non c’è nulla di tutto ciò*. La critica ne avrebbe certo guadagnato in chiarezza….), aggiudicandomi una disonestà intellettuale nel voler colpire pregiudizialmente la persona di un autore a prescindere dalla sua opera.

    La successiva comunicazione ** Comunico altresì che a breve, insieme ad altri intellettuali, metterò in piedi un blog che avrà il suo unico parametro di riferimento nella libera espressione delle idee nel rispetto della dialettica delle tesi, dei testi e delle persone.** l’ho trovata abbastanza singolare se pubblicizzata in un blog che si deve lasciare. Però in sintonia con lo stile di cui sopra e analoga alla modalità perentoria con la quale tempo addietro chiedeva ad Abate DI SOPPRIMERE SUBITO L’AVVISO DEL PREMIO DALLA VISIBILITA’ NEL BLOG (relativo al Premio di Poesia Edita e Inedita “Francesco Graziano”).

    @ Laura Canciani
    * (Ennio) muove a Linguaglossa una accusa infamante: come se la lettura del critico fosse inficiata da un preconcetto «personalistico» e «persecutorio»; mi lasci dire che invece è la sua contro lettura ad essere persecutoria e intimidatoria nei confronti di Linguaglossa*

    a) utilizzare il termine ‘infamante’ mi sembra ridondante rispetto al problema, non trova? Portare nei commenti tratti personalistici e persecutori appartiene alla debolezza dell’umano che si esprime così per quanto si sforzi di essere il più possibile ‘oggettivo’. Solo Dio non ha questo problema. L’importante è riconoscerlo e, mi sembra, era ciò che Abate cercava di far ‘vedere’ a Linguaglossa.
    b) che Abate possa essere *intimidatorio* nei confronti di Linguaglossa… mi fa molto sorridere…
    Ma che sia proprio a causa di questa supposta ‘ingiusta prevaricazione’ che i lettori ‘supplicano’ Ennio a fare il bravo e buono e a tornare sui suoi passi?

    R.S.

    • Giuseppina Di Leo

      a Rita Simonitto e a Ennio Abate
      Che Linguaglossa abbia espresso un giudizio fin troppo pesante (personalmente non ho condiviso il suo ‘prosaico’ “ritengo che l’autore sia stato colpito da un colpo apoplettico con conseguente dislessia neurolettica e neurovegetativa con conseguente disformismo monemico”), l’ho pensato e lo penso.
      Tuttavia Il mio invito rivolto a Ennio Abate a cercare il dialogo con Giorgio Linguaglossa resta tale, considerando che siamo su un blog e non sul ‘ring’, per cui non sarebbe male fare qualche passo indietro come suggerisce Emy.
      Il mio invito parte dalla convinzione che ognuno si assume la responsabilità di quanto afferma (Linguaglossa in questo caso, facendo riferimento specifico a quell’affermazione).
      Ciò che non ho apprezzato nel riesame della poesia del poeta in questione (commento del 17 sett. ) da parte di Ennio, è stato che, da un certo momento in poi (precisamente dal punto 3), egli sia passato dalla critica del testo alla critica della critica e alla critica del critico.

      • Questa mi era sfuggita…da un punto di vista neurologico essere “colpito da un colpo apoplettico con conseguente dislessia neurolettica e neurovegetativa con conseguente disformismo monemico” è frase priva di senso. Un paradosso? Magari. Più banalmente, temo, un’improvvisazione che rivela un vuoto di conoscenza o, peggio, la presunzione di conoscere. Parole difficili in sequenza confidando nell’ignoranza dell’interlocutore.

  42. Rita Simonitto

    * Tuttavia Il mio invito rivolto a Ennio Abate a cercare il dialogo con Giorgio Linguaglossa resta tale, considerando che siamo su un blog e non sul ‘ring’, per cui non sarebbe male fare qualche passo indietro come suggerisce Emy.
    Il mio invito parte dalla convinzione che ognuno si assume la responsabilità di quanto afferma (Linguaglossa in questo caso, facendo riferimento specifico a quell’affermazione).* (Giuseppina Di Leo)

    a) *Siamo su un blog e non sul ‘ring’*.
    Magari fossimo sul ‘ring’: ci sarebbero delle regole da rispettare fra cui evitare i colpi ‘bassi’; ci sarebbe un arbitro che segnalerebbe se un pugile parte anzitempo o costringe l’altro ad una operazione difensiva estenuante.
    Invece siamo in un Blog che costitutivamente è un luogo in cui il discorso si fa ‘tocca e fuggi’, hai dato dei colpi ma chi se ne ricorda più, ormai c’è un nuovo presente che appare sulla scena.
    E’ una specie di fast-food dove i pensieri vengono cucinati come tagli-ritagli-e-frattaglie e divorati in fretta perché non c’è tempo per digerire e riflettere. Così si rischia di fare una ‘forzosa’ selezione di frasi, di commenti; di utilizzare una violenza estrapolativa dai contesti al fine di portare avanti un certo discorso a detrimento di un altro.
    Allora mettiamo Linguaglossa e Abate sullo stesso piano in quanto ambedue utilizzano lo stesso sistema? Ci saranno pure delle differenze!
    E credo che la differenza stia nelle posizioni di ruolo ed emotive dei due duellanti.
    Da un lato c’è Ennio Abate che si è ingrugnito, è andato giù pesante, si è esposto alle frecciate altrui però con l’intento di portare avanti un ‘noi’, il progetto Moltinpoesia nel quale, con un rapporto ‘sano’ di amore/odio, ci crede. La sua ‘caratterialità’ si è spesa anche all’interno di un discorso ‘comune’.
    Dall’altro lato, Linguaglossa porta avanti – e non c’è nulla da eccepire – il suo progetto di ‘io’, la tutela della sua onorabilità di critico e di persona, (a causa della *messa in stato di accusa della mia persona nelle sue funzioni di critico*).
    E va a cercare il luogo dove ciò gli possa essere garantito e cioè * un blog che avrà il suo unico parametro di riferimento nella libera espressione delle idee nel rispetto della dialettica delle tesi, dei testi e delle persone*. Un Parnaso, forse?
    Auguro vivamente a Linguaglossa di trovare questa Araba Fenice di cui tutti sono alla disperata ricerca e che non trovano mai (ai tempi d’oggi, poi!) e ce ne dia le coordinate affinchè anche noi si possa beneficiare dell’esperienza di ciò che significa la ‘libera espressione delle idee’.

    b) Non è la prima volta che Ennio ha fatto, anche se obtorto collo, dei movimenti riconciliatori al fine di garantire la continuità del Blog. Però se, a causa della ‘volatilità’ del mezzo, le esperienze precedenti volano via, quello è un altro problema ancora.
    Assumersi le proprie responsabilità rispetto a quanto si afferma (*Linguaglossa in questo caso, facendo riferimento specifico a quell’affermazione*) non ha a che vedere con le situazioni specifiche: ambedue potrebbero dire “mi è scivolata la mano”, “ho bevuto un cicchetto in più”, “ero su di giri e non sapevo con chi prendermela”, ecc. ecc. Poi, amici come prima.
    Qui si tratta di ribadire un ‘metodo’ (tanto chiamato in causa ma sempre disatteso) che delimiti gli obiettivi e i mezzi per raggiungerli: uno di questi potrebbe essere, ad esempio, definire quale è il ‘potere’ del critico, qual è il potere del padrone di una casa?
    Per questo secondo ce la sbrighiamo presto: è un potere subordinato al mantenimento della casa stessa.
    E il ‘critico’ ha un potere assoluto in tutti gli ambiti in cui interagisce, oppure anche lui deve riconoscere i limiti che gli vengono dati dai vari contesti?
    E un contesto è anche quello di entrare in contatto con chi ne sa di meno e, come fanno i bambini, può porre domande inquietanti o può sbagliare.
    E un ‘non critico’ in che modo può intervenire se avverte che c’è qualche cosa che non va? Deve accettare supinamente, pena di essere tacciato da ‘idiota’ o incolto se dissente? O stare zitto aspettando tempi migliori?

    c) Piccola esemplificazione.
    Se qualcuno (uomo o donna poco importa, tanto oggi la differenza sessuale è andata a farsi benedire) va da un medico perché afflitto da un fastidioso tic al labbro e il professionista lo invita a spogliarsi completamente, argomentando con abbondanza di paroloni scientifici che solo ‘a nudo’ può capire la consistenza del problema segnalato, un qualche dubbio sulla stranezza della richiesta e una qualche resistenza potrà venire al povero paziente. Ma come potrà portare contro-argomentazioni in un rapporto già precostituitosi asimmetricamente?
    O diventerà aggressivo o si defilerà: se ne avrà il coraggio.
    Se invece vuole fidarsi ciecamente del professionista investito di un potere divino, beh… sarebbe interessante sapere come va a finire.

    R.S.

  43. Giuseppina Di Leo

    Accolgo sempre con molto piacere il modo e la maniera con le quali entri nel merito delle questioni cara Rita, riuscendo così a far risaltare anche gli aspetti meno evidenti, per cui ti ringrazio molto di questo tuo commento.
    Nel merito della ‘crisi’ in corso, l’ennesima, qualcosa sui ruoli e sui metodi dal mio punto di vista.

    È pur vero che la velocità del mezzo porta a dimenticare (a questo proposito sollevo a Ennio il problema della mancanza di quei link, presenti nella vecchia versione del blog, che erano di aiuto a ritrovare anche post molto vecchi attraverso i nomi), ma, nonostante il “mordi e fuggi”, non mi pare che siamo in una friggitoria, dove le cose vanno mangiate calde calde. Intendo dire che se il curatore del blog (Ennio) o il critico (Giorgio), o entrambi contemporaneamente, fanno affermazioni alla paprika e peperoncino con l’aggiunta di mostarda per coprire un condimento non freschissimo, noi abbiamo tutto il diritto di non gradire subito – anche se intanto la fregatura ce la saremmo beccata. Abbiamo però il dovere, la volta successiva, di contestare e rifiutare.
    Certo la cosa migliore, lasciando l’esempio, resta sempre quella di sapersi districare subito, ma evidentemente c’è un processo di elaborazione che necessita dei suoi tempi (cosa che tu peraltro evidenzi), e ciascuno ha i propri di tempi. Nel caso della visita dal medico ‘impaziente’, l’ideale sarebbe di mandarlo con garbo e con la dovuta fermezza immediatamente al diavolo, in mancanza, di non tornarci più, e, in ogni caso, fargli la pubblicità che meriterebbe.
    Tornando al blog, in questa vicenda Ennio Abate – per come la vedo io – avrebbe fatto meglio a ricoprire un ruolo super partes, esprimendo le sue riserve, le osservazioni e le controdeduzioni, aprendo al dibattito (come invero ha fatto) cercando di mantenere la sua neutralità, senza cioè schierarsi né dall’una né dall’altra parte.
    A questo proposito devo dire che in passato ci sono state situazioni in cui personalmente ho apprezzato molto questo aspetto, e cioè il saper entrare nei discorsi con la pacatezza, l’intelligenza e l’acume che gli sono proprie.
    Di Giorgio Linguaglossa faccio la stessa osservazione, con la differenza che, contrariamente al suo solito, in termini di pacatezza e di rigore, questa volta ha ecceduto un po’ troppo oltre nei toni.

    Non mi piace poi per niente il tono usato da Ennio nella risposta al commento di Rò sull’altro post. Con quell’ “ impara da Linguaglossa: annuncia tu pure un altro blog e provaci”.
    Di certo, così dicendo, non si favorisce il dialogo.

    • ro

      Non ci si autosputtana solo con un determinato tipo di linguaggio, cara Giuseppina. Sarebbe troppo semplice pensare che un linguaggio direttamente lesivo di questo o quel de signoribus, questo o quel critico, sia l’unico vocabolario e frasario da bandire da qualsiasi perimetro, ergo la mia metafora di giorni fa sulla pedana del ring. Il problema è piu vasto e piu sottile. Si può ledere l’altro in tanti modi, come il fraseggio da te riportato poco sopra e cosi tanti altri. Ma alla fine in realtà il danno lo subisce chi adotta quel fango di linguaggio, non chi apparentemente è stato infagato, diminuito, leso, e anche stravolto. vedi la risposta di Ennio poco sopra al mio intervento, oppure vedi la riduzione a pettegolezzi dei commenti e conversazioni di ieri. ” Infernet ” è uno specchio micidiale di ogni parola rivolta all’attenzione di qualcosa che travalica il proprio io,e quando appunto lo afferma cosi tanto, da azzerrare l’altro, chi azzera ne risulta in ogni sua nudità autosputtanandosi. Stamane all’ennesimo stravolgimento da parte di Ennio, avevo lasciato un commento, puntualmente sparito. Non credo che se Linguaglossa ha usato parole troppo pesanti per azzerare “l’altro”, sia il solo che qui dentro adotti l’azzeramento(e lo stravoglimento) sistemico in svariate modalità.

      ps
      a questo punto visto che ho gia un mio “sito” senza nulla in cambio di nessun tipo di bisogno di riconoscimento o altro di analogo, posso solo augurarvi un ottimo lavoro per tutto.

  44. emilia banfi

    Eeh cari miei,,,quando non ci si guarda negli occhi…

  45. Ennio Abate

    @ Rita (Simonitto)
    Se si avesse la pazienza, il tempo e la voglia di ripercorrere almeno i post più significativi in cui io e Giorgio abbiamo “duellato”, ci si accorgerebbe che le differenze esistenti tra noi sono di lunga data. Non avevano mai però portato alla rottura. Forse perché nessuno dei due aveva tirato troppo la corda? Forse perché, pur sospettando o sapendo che avevamo retroterra culturali, stili, aspirazioni diverse e poco conciliabili, ci siamo sopportati a vicenda e abbiamo tentato di collaborare. Ora la rottura c’è stata. Prevedibile secondo Emilia (Banfi). Dovuta alla mia incapacità stavolta di essere “super partes”? (Ma credo di non esserlo mai stato, non è un ruolo che mi si addice…). Non resta che voltare pagina. Concordo in questo con l’ultimo commento di Emilia . Ciascuno ripensi per conto suo quanto accaduto.

    @ Di Leo
    Per trovare vecchi post non più in prima pagina basta scrivere nel riquadro ‘Search’ (in alto a destra) il nome dell’autore o dell’argomento da trovare.

    Per la mia risposta brusca a rò mi spiace. Non su tutti, ma su certi “temi fissi” di rò non voglio favorire nessun dialogo. Li vada a fare in altra sede. E chi li condivide li vada a seguire là.

    @ JK
    Ha in parte ragione. Dall’esterno certe polemiche appaiono risse da pollaio; e, prolungate, diventano asfissianti. Ma è troppo semplicistico dire che quando due polemizzano si “parlano addosso” e basta. Troppo facile liquidare così la faccenda. A leggere con attenzione e pazienza, s’imparano sempre delle cose. Che la poesia possa essere un’oasi in cui le polemiche restano fuori, a me pare un’illusione.

    @ rò
    Giusto. Metterò il tuo sito, come quello prossimo di Linguaglossa, tra i miei “preferiti”, li seguirò se mi diranno qualcosa e magari commenterò.
    E se i miei commenti ti parranno inutili, cancellali, come ho fatto stamane col tuo.

  46. Giuseppina Di Leo

    Scusa Ennio, possiamo essere informati sulla censura dei commenti?

    • Ennio Abate

      @ Di Leo

      Da oggi in poi eliminerò i commenti che giudicherò inutili o dannosi per il progetto (Cfr. “Presentazione” in home page) che questo blog persegue. Lo farò da solo, se resterò io l’unico curatore del blog. Con altri, se si costituisse una redazione. Io/noi, insomma.

  47. Alda Cicognani

    Io qualche volta faccio capolino e vi leggo. E resto atterrita. Ma quanto tempo avete a disposizione, Signori e Signore? Dove sono le belle poesie che E. A. generosamente pubblicava e che ricevevano brevi ma intensi commenti? Questa dura cosa accaduta fra due critici è cosa loro!
    Vanno rispettati e si torni alla poesia, lasciando il pollaio, please.
    Forse ha ragione Ennio: la distanza fra loro era ormai evidente e causa di disagio, che ha trasformato un importante blog in un duello continuo. Ha ragione anche

    E non è neanche sciocchissima, mi correggo. Ha ragione Ennio: la distanza fra loro era evidente da tempo, e forse cercavano entrambi la crisi per chiudere

    e non è neanche sciocchissima, mi correggo.

  48. Alda Cicognani

    Scusate, è faticosissimo scrivere un commento, che viene mangiato continuamente, così alla fine il risultato è una serie di frammenti sconnessi. Auguri a voi frequentatori abituali, dai commenti chilometrici, senza interferenze! A.C.

    • Ennio Abate

      @ Cicognani

      Ma perché non scrivere prima il commento comodamente in un file Word qualsiasi e poi inserirlo (Ctrl+V) con il copia/incolla?
      I commentatori chilometrici lavorano così!

  49. Pingback: Critica a “Non date le parole ai porci” di Cesare Viviani su “L’Ombra delle Parole” | Poliscritture.it

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